L'incidente alla piattaforma Deepwater Horizon

Agli inizi di aprile 2010, Barak Obama riavviava, dopo una lunga moratoria, il programma di esplorazioni petrolifere offshore negli USA. Un pedaggio, questo, pagato alle lobby del barile per far passare un “Climate Bill” che impegna gli USA a ridurre solo del 4% le emissioni di gas serra rispetto al 1990.

Oil rigs today generally don’t cause spills. They are technologically very advanced. Barak Obama - 2 aprile 2010 (Le piattaforme petrolifere, oggi, generalmente non causano sversamenti. Sono tecnologicamente molto avanzate.)

Sfortunatamente le parole di Obama sono apparse di cattivo presagio appena pochi giorni dopo essere state pronunciate: la marea nera della Deep Water Horizon, alla fine di aprile, invadeva il Golfo del Messico e colpiva larga parte delle coste della Florida.

Un anno dopo Greenpeace lancia un sito dove pubblica oltre 30.000 pagine di documenti inediti sul disastro indotto dalla BP. A disposizione di chiunque voglia capire quanto realmente avvenuto; e a disposizione di tutte quelle comunità colpite dal disastro, affinché possano avere quanta più informazione possibile per le vertenze legali con cui chiedono il dovuto risarcimento.

I danni arrecati all’ambiente dall’incidente alla Deep Water Horizon non sono ancora oggi quantificabili.

Sappiamo che sono state sversate in acqua oltre 500.000 tonnellate di petrolio, che gran parte di queste giacciono ormai sui fondali, da dove continuano ad avvelenare tutto l’ecosistema marino; sappiamo che non è vero, purtroppo, quanto sostenuto dalla BP e poi dal governo USA, ovvero che il 75% del greggio disperso sarebbe stato recuperato o distrutto.

La BP, all’indomani dell’incidente, ha istituito un fondo di ricerca, sovvenzionato con 500 milioni di dollari. I documenti raccolti da Greenpeace dimostrano come la compagnia petrolifera abbia ripetutamente tentato di pilotare le attività di ricerca finanziate con quei soldi.

Oggi l’amministrazione Obama si trova a fronteggiare un dilemma: accettare le stime al ribasso prodotte dalla BP sui danni reali causati nel golfo del Messico, e così procedere a risarcimenti rapidi ma incongrui; oppure contestare quelle stime e avviare dispute legali che dureranno molti anni e ritarderanno ogni forma di compensazione economica.

Nel frattempo il mondo fronteggia un dilemma diverso: continuare ad avvelenare il pianeta, poggiando larga parte della produzione mondiale di energia sulle fonti fossili, o avviare una rivoluzione energetica verde, basata sulle rinnovabili? La risposta, in questo secondo caso, appare più semplice.

Visita il sito: http://www.polluterwatch.org/research

Andrea Boraschi, campaigner Clima