martedì 2 ottobre 2012

Siamo partiti una settimana fa da Maputo, Mozambico, a bordo della Rainbow Warrior. Direzione sud est, zone d'alto mare dell'Oceano Indiano al largo del Madagascar. Obbiettivo: documentare le attività di pesca e monitorare l'area.

È la prima volta che Greenpeace si spinge a queste latitudini. Dall'Oceano Indiano proviene circa un quarto del tonno pescato a livello globale ed è qui, al largo del Madagascar, che si concentrano le barche europee e asiatiche impegnate nella pesca al tonno. Si tratta di una zona tra le più colpite dal problema della pesca illegale. E con questa missione vogliamo capire cosa stia succedendo.

Durante la notte intercettiamo un peschereccio spagnolo. Lo seguiamo sul radar e alle 6.30 del mattino sono sul ponte per chiedere al capitano il permesso di salire a bordo a documentare la pesca. Manolo, uomo di mare del nord della Spagna, accetta senza problemi. Il suo equipaggio è composto per lo più da Senegalesi e Indonesiani, si pesca con palamiti e l'imbarcazione è nel registro delle barche autorizzate dalla Commissione per la pesca al tonno nell'Oceano Indiano (IOTC).

Siamo in quattro a salire sul peschereccio: io, il fotografo, il videoperatore e il terzo ufficiale Angelo, italiano come me e già al secondo imbarco sulle navi di Greenpeace. L'interesse è tanto: molto del tonno che finisce sulle nostre tavole in Italia proviene da questo oceano, ma pochissime persone conoscono i veri costi di questa pesca.

martedì 2 ottobre 2012

 

Mentre parlo con Manolo e controllo la documentazione - tutto sembra in regola - i pescatori iniziano a tirare su la lenza che hanno buttato durante la notte. La cattura del giorno è davanti a noi: tonni pinna gialla, tonno obeso, un marlin, due enormi pesci spada, e… uno squalo. È un meraviglioso esemplare di squalo azzurro, il capitano mi racconta che gli capita di pescarne spesso. Per quanto sia legale, è terribile assistere alla cattura di questi animali, uccisi dal taglio della pinna dorsale.

La lenza è lunga 80 chilometri e ha attaccati oltre 1200 ami. Non oso immaginare quanti tonni, pesci spada, squali e molto altro possano essere uccisi da una barca da pesca come questa. E nell'area ne abbiamo contate almeno una quindicina. Il capitano mi racconta che a volte catturano tartarughe, ma che poi le liberano….e proprio mentre siamo li vedo saltare a pelo d'acqua una meravigliosa manta oceanica, lei è sulla lista degli animali in pericolo. Catturano anche lei, altro esempio terribile di cattura accessoria dovuta a questo tipo di pesca. I pescatori la tirano su e poi la liberano, ci dicono di farlo normalmente ma senza nessuno che controlli risulta difficile crederlo.

martedì 2 ottobre 2012

Fishing Activities on Spanish Longliner © Paul Hilton / Greenpeace

 

Il problema della pesca in queste aree remote dell'Oceano Indiano è legato proprio alla mancanza di controlli. Si stima che circa il 18% della pesca in quest'area sia illegale, non dichiarata o non regolamentata (INN). Greenpeace chiede che venga ridotto il numero delle imbarcazioni in mare, e che aumentino i controlli, rendendo obbligatoria la presenza di osservatori a bordo dei pescherecci per garantire la riduzione delle catture accessorie. La pesca eccessiva non solo sta esaurendo gli stock di tonno ma sta distruggendo la meravigliosa vita marina di questo oceano.

Mentre la manta nuota di nuovo libera, torniamo verso la Ranibow Warrior. A pelo d'acqua vedo due squali, nuotano veloci verso la lenza e strappano i pesci dall'amo….lasciando ai pescatori stupiti solo le teste. L'oceano si riprende con forza ciò che è suo. Guardo l'orizzonte con un sorriso: nonostante le intense attività di pesca, il mare è ancora vivo.

Dobbiamo lottare per salvarlo prima che sia troppo tardi.