ENI vuole distruggere il mare di Sicilia e migliaia di posti di lavoro. E Crocetta si mangia le mani.
 
Che dei petrolieri non ci si potesse fidare noi lo sapevamo da tempo. Non è un mistero che le grandi aziende petrolifere di tutto il mondo guardino solo ai propri interessi economici e non certo alla tutela del territorio e dei cittadini. Sembra che il Governatore Crocetta fosse l’unico a non saperlo, o a volerlo ignorare. “Spremere, distruggere e annientare un territorio, per poi andarsene” è la prassi per tutti questi colossi, da ENI a Shell a BP, dalla Nigeria all’Artico, passando per il Golfo del Messico, e arrivando tristemente anche in Italia.
 
Può darsi che il 4 giugno, data in cui è stato siglato un protocollo di intesa tra la Regione Siciliana e i petrolieri, in prima fila ENI, Crocetta sognasse che i “cattivi” si trasformassero in “buoni”, ma si è dovuto bruscamente risvegliare dopo l’annuncio di ENI del ridimensionamento produttivo del petrolchimico di Gela con un blocco degli investimenti già promessi e la perdita di migliaia di posti di lavoro.

 
 
La motivazione? A detta della stessa ENI  “la saturazione del mercato dei carburanti per sovrapproduzione”. La strategia di Eni appare francamente incomprensibile. Uno dei suoi asset principali è in crisi: la contrazione dei consumi di petrolio impone tagli e profonde ristrutturazioni del comparto raffinerie. Mentre ENI vuole ridurre la propria produttività a Gela (e minaccia di fare altrettanto a Livorno, Porto Marghera e Taranto) cerca però di espandere il suo potenziale estrattivo di idrocarburi a mare. In questo caso parliamo soprattutto di gas, una fonte oggi in crisi nel settore termoelettrico e minacciata, quanto ai consumi energetici dell'edilizia, dall'efficienza energetica.

Il cane a sei zampe non si rende conto di stare giocando tra opzioni comunque perdenti: è un paradigma industriale quello che è andato in crisi, non un singolo impianto. Le fonti fossili hanno il fiato corto, non possono rappresentare un investimento strategico per il futuro, e rischiano di costare al paese migliaia di posti di lavoro. Mandando a casa oggi i lavoratori delle raffinerie, e domani con le trivellazioni in mare tutti coloro che vivono di pesca e turismo.
 
Greenpeace, impegnata con la propria nave Rainbow Warrior in Italia in un tour contro le fonti fossili,  è stata a Palermo la scorsa settimana per denunciare le gravi lacune della valutazione di impatto ambientale con la quale il Ministero dell’Ambiente ha appena autorizzato l’ultimo progetto di trivellazione off-shore di ENI proprio al largo della costa tra Gela e Licata! Si rischia di fare il “deserto” in mare come a terra.
 
È necessario intervenire subito per fermarli. Se sulla Regione non possiamo più contare, devono essere le comunità locali, dai comuni costieri interessati alle associazioni di categoria a entrare in azione per difendere il proprio “oro blu”.  Greenpeace farà ricorso al TAR contro il progetto “off-shore Ibleo” e chiede ai Sindaci dei comuni costieri da Agrigento a Scicli, e in particolare al primo cittadino di Gela e Licata, di sostenerlo. È ora di dire finalmente no a questo sfruttamento selvaggio, e si a una politica di sviluppo sostenibile che valorizzi quelle che sono le vere ricchezze della Sicilia e crei occupazione!

Giorgia Monti, Campaigner Mare