Abbiamo vinto ancora contro Enel: anche il Tribunale di Milano, dopo quello di Roma lo scorso anno, ha rigettato un ricorso ENEL contro la campagna di Greenpeace. L’uso del logo dell’azienda in campagne di sensibilizzazione che hanno un fondamento è legittimo: prevale il diritto di critica costituzionalmente tutelato.

E l’accusa di Enel di raccogliere fondi utilizzando il loro nome non regge sul piano giuridico: una Onlus non ha scopi commerciali e non è un concorrente. Il sospetto poi che si voglia preparare il terreno per l’ingresso di una cooperative tedesca delle fonti rinnovabili – Greenpeace Energy – non ha alcun fondamento o prova.

Greenpeace è impegnata in una decina di cause legali contro l’uso del carbone, la maggior parte delle quali coinvolgono proprio Enel. A volte i nostri attivisti sono imputati per azioni di protesta, in altri casi siamo costituiti come parti civile.

Questo processo di Milano ha qualcosa di paradossale: Enel chiedeva i danni per l’uso, a loro dire illegittimo, del logo: per le “bollette sporche” che riportano i danni sanitari dovuti all’uso di carbone nelle loro centrali e per aver fatto una pubblicità falsa nella finta copia di Metro distribuita dagli attivisti di Greenpeace prima delle elezioni.

Nel primo caso abbiamo semplicemente riportato i risultati di uno studio elaborato da un Istituto indipendente sui “morti da carbone”, studio che impiegava la metodologia dell’Agenzia Europea Ambiente. Nel secondo, si tratta solo di una falsa pubblicità Enel, quella che ci piacerebbe vedere, in cui si annuncia l’abbandono del carbone.

Queste azioni legali – che hanno un sapore vagamente intimidatorio - non ci spaventano e non ci fermeranno. È semplicemente ridicolo che un’azienda con oltre 70 miliardi di euro di fatturato possa accusare Greenpeace di “fare soldi” con una campagna il cui obiettivo è cercare di tutelare la salute delle persone. È esattamente al contrario: è proprio Enel che fa grandi profitti col carbone, scaricando i costi ambientali e sanitari, incluse morti in eccesso, sui cittadini e sull’ambiente. E, peraltro, tutti i soldi che raccogliamo in un anno non coprirebbero nemmeno un terzo degli emolumenti del CDA dell’azienda.

Enel, di proprietà statale per il 31%, cerca di bloccare in tutti i modi una campagna che chiede una svolta energetica verso fonti pulite in nome dell’interesse collettivo. Per questo continuiamo a chiedere di rimuovere il vertice Enel e di abbandonare progressivamente l’uso di fonti sporche come il carbone e l’olio combustibile.

Le alternative ci sono e, oltre a ridurre l’impatto sulla salute e sull’ambiente, consentirebbero  anche una maggiore occupazione. Dalla parte di Enel si è schierato, invece, il neo-ministro dello Sviluppo economico, Flavio Zanonato, che ha rilanciato il progetto della conversione a carbone della centrale di Porto Tolle. È evidente che il Governo non abbia alcuna visione di sviluppo sostenibile. La nostra battaglia per una rivoluzione energetica pulita non sarà facile ma andremo avanti convinti di poter contare sulla partecipazione dei nostri sostenitori e della nostra community.

Leggi la sentenza del Tribunale di Milano

Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace