mostra.14Bhopal 1984. Un’esplosione nell’impianto di pesticidi della Union Carbide (UC, successivamente acquisita dalla Dow Chemical Company) causò la morte di migliaia di persone. Un numero che è cresciuto negli anni fino ad arrivare a contare ben 25 mila morti e mezzo milione di persone che ancora ne soffrono le ripercussioni. Oggi Bhopal, a ragione, è considerato il più grave incidente dell’industria chimica mai verificatosi al mondo. Eppure, dopo 25 anni, la sentenza emessa dalla Corte di Giustizia indiana del 7 giugno 2010 non rende ancora giustizia alla sue vittime.

Il processo, infatti, si è concluso con la condanna di otto imputati, ex dipendenti della UC (di cui uno deceduto nel corso degli anni), che al massimo sconteranno due anni di carcere. Nessuna condanna per i principali imputati di quel disastro: la Union Carbide e il suo vecchio amministratore delegato, Warren Anderson.

Eppure secondo alcuni attivisti indiani, esistono documenti che dimostrano come la UC e l’allora amministratore delegato Anderson sapevano che la tecnologia dell’impianto di Bhopal non era testata e che, a causa di un taglio dei costi di gestione, la fabbrica non era sicura. Documenti che, però, non trovarono spazio tra gli atti processuali.

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In tutti questi anni abbiamo lottato per la campagna “giustizia per Bhopal”. I nostri attivisti si sono travestiti da scheletri per protestare contro la Dow Chemical e ricordare le 25.000 vittime di Bhopal. Abbiamo portato in Italia la mostra del fotografo Raghu Rai: 67 immagini in bianco e nero scattate poche ore dopo l’esplosione.

Lo scorso novembre, a distanza di 25 anni dal disastro, abbiamo organizzato insieme ad Amnesty International il "Bhopal bus tour", con una delegazione di sopravvissuti all'incidente che ha partecipato a manifestazioni e incontri pubblici a Roma e Milano.

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E intanto a Bhopal ancora si beve acqua contaminata, il terreno dell’impianto non è mai stato bonificato e la gente continua a chiedere assistenza sanitaria!