È inaspettatamente caldo a Murmansk, la capitale polare della Russia. Colpa dei cambiamenti climatici? In questa città, all'estremo nord occidentale della Federazione Russa, al confine con i Paesi scandinavi, vivono più di 300 mila persone, circondati all'esterno da foreste e all'interno da enormi palazzi grigi. La notte artica, che non arriva mai, è davvero affascinante. Mi addormento in una specie di eterno tramonto.

L'Arctic Sunrise non ha ottenuto i permessi per ormeggiare in porto, per raggiungerla dobbiamo fare un trasbordo di più di un'ora. Sembra che le autorità russe non abbiano una grande simpatia per Greenpeace.Dentro al porto di Murmansk ci sono montagne di carbone, esposte all'aperto senza nessuna protezione. Ci spostiamo attraverso la Kola Bay per raggiungere l'Arctic: la nostra nave spicca in mezzo a piattaforme, navi commerciali e rompi ghiaccio a propulsione nucleare. Ma non è del tutto "sola", c'è anche la nave della "Expédition Coriolis": un gruppo di francesi in viaggio intorno al mondo per lanciare l'allarme del riscaldamento globale.

Negli ultimi due anni ho letto molto su esplorazioni e trivelle, sul disastro della Deepwater Horizon e sui cambiamenti climatici. Ma adesso è diverso, non sono davanti al mio computer, seduta alla mia scrivania, non sto guardando delle foto, le piattaforme sono lì a pochi metri da me. La più nuova è ferma all'ancora perché non adatta alle condizioni estreme dell'Artico. Il problema è che nessuna piattaforma lo è, e il rischio di incidenti in queste zone è molto alto, le conseguenze incontenibili.

Una volta a bordo, cerco di capire come funziona la vita sulla nave. Il mal di mare è una certezza per tutti quelli che salgono sulla "washing machine", come viene chiamata l'Arctic Sunrise. Il mio posto preferito è fin da subito la cucina: non è più come una volta quando i marinai mangiavano solo pesce e carne essiccata senza vedere una foglia di insalata verde per mesi e mesi. Dopo il corso sulla sicurezza, simuliamo una situazione di abbandono della nave e nei prossimi giorni faremo anche un breve corso sul primo soccorso.

Il primo risveglio in mezzo al mare è incredibile, ovunque mi giri c'è solo acqua, nemmeno una lisca di terra all'orizzonte. Considerando che internet non funziona, la sensazione di libertà è ancora più forte. Sveglia alle 7:30, colazione dalle 8:00 alle 8:30, poi le pulizie, pranzo a mezzogiorno e cena alle 6: così viene scandito il tempo a bordo della nave. E tra un pasto e l'altro tutti lavorano, ma ci sono anche molte occasioni per parlare. L'argomento principale è la campagna #SaveTheArctic.

I governi degli Stati che si affacciano sull'Artico sono in lotta per accaparrarsi queste zone e concederle alle compagnie petrolifere. I ghiacci si stanno sciogliendo ed è una catastrofe per tutti, tranne che per Shell e Gazprom che vedono in questo disastro un'opportunità. Il governo russo intende detassare le attività di perforazione per attirare nuovi investimenti. I rischi per il clima, la salute, l'ecosistema e la sopravvivenza delle popolazioni indigene sono altissimi. Ma quelli "pericolosi" siamo noi ... che chiediamo un Santuario nell'Artico, che ci preoccupiamo per il surriscaldamento del Pianeta, che vogliamo preservare l'ecosistema ed evitare disastri ecologici. Il mondo alla rovescia.



Non sarà la mia presenza a bordo dell'Arctic a fare la differenza per il mondo, ma nessuno può togliermi quest'idea dalla testa: qualcuno prima di me ha lavorato a questa campagna e qualcun altro dopo di me continuerà a farlo. Per vincerla dobbiamo essere in tanti. Già più di 1 milione e 300mila persone hanno firmato la nostra petizione su www.savethearctic.org, dobbiamo arrivare a 2 milioni e far sentire forte la nostra voce.

Rebecca Borraccini,
addetta stampa a bordo dell'Arctic Sunrise