Chi non ha mai sognato di trovarsi nella natura incontaminata dell’Himalaya o delle Ande per fare una scalata o un trekking? Pochi altri posti al mondo possono vantare una neve così pura o un’acqua ugualmente cristallina. Eppure sostanze chimiche pericolose e persistenti si nascondono anche qui.

A maggio e giugno 2015, otto squadre di attivisti di Greenpeace hanno intrapreso spedizioni in aree montane e remote di tre continenti, per prelevare campioni di acqua e neve che sono poi state analizzate in laboratorio alla ricerca dei pericolosi perflorurati (PFC). Purtroppo abbiamo trovato tracce di queste sostanze, come illustra il rapporto "Impronte nella neve - I pericolosi PFC nei luoghi più remoti del Pianeta" che diffondiamo oggi. Con questa ricerca globale vogliamo attirare l’attenzione su un problema da tempo presente ma poco conosciuto e mai risolto: la presenza di sostanze invisibili ma altamente persistenti nell’ambiente.

 

I PFC sono utilizzati in molti processi industriali e in beni di consumo: il settore dell’abbigliamento outdoor, in particolare, li usa nelle finiture impermeabilizzanti e antimacchia. Una volta rilasciati nell’ambiente si degradano molto lentamente; a volte per centinaia di anni, disperdendosi su tutto il globo. Alcuni PFC possono causare danni alla riproduzione, favorire lo sviluppo di tumori e colpire il sistema ormonale. 

Il settore outdoor usa immagini di splendidi panorami montani, meravigliose foreste, neve appena caduta e fiumi puliti per dare l’immagine di libertà e amore per la natura che i propri consumatori sentiranno indossando i loro prodotti. Grazie allo sfruttamento di questo immaginario i marchi dell’outdoor hanno visto crescere significativamente il loro giro d’affari. È paradossale pensare che aziende che dipendono dalla natura per il loro business rilascino volontariamente nell’ambiente sostanze chimiche pericolose.

 

La buona notizia per gli amanti dell’outdoor è che le alternative più sicure ai PFC esistono e alcuni marchi vendono già capi d’abbigliamento PFC free, come quelli che abbiamo usato con successo nelle nostre spedizioni. E che si sono comportati in maniera eccelsa anche in condizioni meteo avverse e ad oltre 5 mila metri di quota sulle montagne della neve di Haba in Cina.

 

Il settore outdoor ha fatto certamente dei progressi in termini di protezione dell’ambiente, ma non si è minimamente curato di sostituire i problematici PFC nelle finiture idrorepellenti  di membrane e rivestimenti. Finora gran parte dei marchi outdoor non ha ascoltato le richieste di Greenpeace e della campagna Detox. Ora basta, è tempo di liberarci dei PFC e ognuno di noi può fare la sua parte – amanti della natura o dell’arrampicata, sciatori, escursionisti, cittadini preoccupati per l’ambiente – unitevi al nostro movimento su detox-outdoor.org!

Insieme possiamo sfidare i nostri marchi preferiti a diventare campioni Detox e fermare la diffusione di PFC in tutto il Pianeta.

 

Gabriele Salari - Coordinatore Comms Detox Outdoor