Per chi lavora come me sulla campagna Mare incontrare Junichi Sato, direttore esecutivo di Greenpeace Giappone, è un onore. Domenica, mentre eravamo ancorati al largo di Yokohama, Junichi è salito a bordo della Rainbow Warrior e ho avuto modo di fare una bella chiacchierata con lui.

Junichi è stato uno degli attivisti processati e condannati per aver denunciato il traffico illegale di carne di balena proveniente dal supposto "programma scientifico" di caccia alle balene del governo giapponese in Antartide. Insieme a lui, Toru Suzuki.

Noti al mondo come Tokyo Two, Junichi e Toru sono stati condannati lo scorso settembre a tre anni di reclusione con sospensione della pena. Incarcerati per ben 23 giorni in completa violazione dei diritti umani, hanno subito ingiustamente diverse ripercussioni anche nella propria vita privata.

"All'inizio è stata dura - mi spiega Junichi -  perché i media erano tutti contro di noi. Ci hanno trattato come dei criminali e su tutti i giornali è comparsa la notizia del nostro arresto e poi del processo. Ricordo una mattina una tv giapponese fuori da casa mia. Erano riusciti a scoprire dove vivevo. Dopo quel servizio la mia famiglia ha dovuto trasferirsi, tutto il quartiere sapeva chi ero e cosa stava succedendo. Fin quando le cose non si sono calmate, e non siamo riusciti a spiegare cosa stesse davvero accadendo, mia moglie e mio figlio hanno vissuto a casa della mia famiglia. Sono stati mesi duri perchè io, essendo sotto processo, non potevo cambiare indirizzo e così per un periodo abbiamo vissuto separati". E aggiunge con un sorriso "Meno male che quel brutto periodo è passato".

Attualmente Junichi e Toru stanno ricorrendo in appello a quell'ingiusta sentenza perché venga riconosciuta la loro innocenza.

Junichi è positivo: "Oggi giorno la situazione in Giappone, dopo il nostro processo, è ben diversa. A gennaio la stessa Agenzia per la Pesca Giapponese ha ammesso che vi sono funzionari corrotti all'interno del  programma baleniero, come noi denunciavamo da tempo. E la stessa opinione pubblica non è più così favorevole a questo programma. Speriamo che questa volta i giudici considerino tutte le prove che durante il processo non hanno voluto esaminare". La prima seduta della corte d'appello è tra qualche settimana, il 24 maggio, nella corte della provincia di Aomori.

Gli chiedo cosa pensa della caccia baleniera, e se crede che questo programma finirà presto.

"Già quest'anno il fatto che la flotta sia rientrata prima del previsto dimostra che il programma è al suo termine. E adesso con i danni causati dallo tsunami e il disastro della centrale di Fukushima, ha ancora meno senso spendere i soldi dei contribuenti per la carne di balena. Abbiamo bisogno di tutte le nostre risorse per aiutare la popolazione a far fronte all'emergenza nucleare e ricostruire ciò che è stato spazzato via".

Allora perché il governo giapponese non pone fine alla caccia baleniera una volta per tutte?

"La verità - mi spiega Junichi - è che la caccia baleniera è strettamente legata alla cultura del Giappone. I vecchi funzionari dell'Agenzia per la Pesca ne sono stati per anni i promotori e non sono certo intenzionati a cambiare le cose o, per lo meno, a farlo fin tanto che questo appaia una sconfitta del governo giapponese di fronte alla comunità internazionale".

Ora però il Giappone ha un buon motivo per uscirne. È importante che adesso l'Agenzia della Pesca utilizzi quei soldi per sostenere i pescatori che sulla costa del Pacifico hanno perduto tutta la loro flotta e rischiano di vedere la propria attività rovinata dalla contaminazione radioattiva.

Giorgia Monti, campaigner Mare di Greenpeace Italia