Che cos’è il fracking? Vuol dire “fratturazione idraulica” ed è una tecnica per estrarre gas naturale anche da sorgenti non convenzionali – come le rocce di scisto o depositi profondi di carbone. Negli USA questa tecnica estrattiva si è ampiamente sviluppata negli ultimi anni, generando un crescente movimento di opposizione. È di questo che parla il film “Promised Land” di Gus van Sant e noi vi spieghiamo il perché.

Negli USA il fracking ha abbattuto i prezzi del gas nel Paese, ha aumentato notevolmente le riserve disponibili di gas estraibile e ha provocato una riduzione dell’uso del carbone (il cui prezzo è sceso negli USA, favorendone l’esportazione all’estero). Ma questi sviluppi del gas di scisto – shale gas – non sono privi di problemi ambientali. Tra gli aspetti maggiormente preoccupanti, vanno segnalati gli impatti sull’acqua e le perdite “fuggitive” di gas metano. Vediamoli nel dettaglio:
 
Impatti sulle risorse idriche:

• Il processo di fracking consuma enormi quantità di acqua. È stato stimato che una quantità compresa tra 9 mila e 29 mila metri cubi di acqua all’anno è necessaria per ogni singolo pozzo (e i pozzi dei campi di gas di scisto sono migliaia). Questo potrebbe causare problemi con la sostenibilità delle risorse idriche, anche in paesi temperati, e certamente può rappresentare una forte pressione sulle risorse idriche nelle zone più aride;

• i rischi ambientali associati alle sostanze chimiche impiegate come additivi ai fluidi impiegati nel processo di fratturazione – che costituiscono il 2 per cento circa del loro volume – sono assai poco conosciute. Infatti, negli Stati Uniti, queste sostanze sono esentate dal regolamento federale e le informazioni relative sono protette come segreto industriale. Almeno 260 sostanze chimiche sono note per essere presenti in circa 197 prodotti e alcuni di questi sono noti per essere tossici, cancerogeni e mutageni. Queste sostanze chimiche possono contaminare le falde sotterranee a causa della mancata tenuta dei pozzi e consentire la migrazione di contaminanti attraverso il sottosuolo. La mancanza di libero accesso alle informazioni su queste sostanze non è accettabile;

• una cifra tra il 15 per cento e il 80 per cento dei fluidi iniettati per la fratturazione idraulica ritorna in superficie come acqua di riflusso, mentre il resto rimane nel sottosuolo. Questi fluidi conterranno additivi impiegati nella fratturazione e i loro prodotti di trasformazione. Sostanze disciolte dalla fratturazione delle rocce di scisto sono metalli pesanti, idrocarburi e elementi radioattivi naturali.

Impatti sulle emissioni di gas a effetto serra:

Dopo la fratturazione delle rocce di scisto viene liberato il gas metano che viene raccolto nella fase di estrazione. La questione preoccupante riguarda le emissioni fuggitive di gas metano, cioè quella quota di gas metano che sfugge al processo estrattivo e si disperde in atmosfera. Se si tiene conto di queste emissioni fuggitive, per le quali in letteratura circolano cifre abbastanza variabili, il vantaggio ambientale del gas di scisto rispetto al carbone tende a ridursi. Le perdite di metano dal fracking sono, infatti, superiori di quelle legate all’estrazione del gas convenzionale, con stime che oscillano dal 30 per cento al 100 per cento in più.

Per le stime più pessimistiche delle emissioni fuggitive, l’impatto sul clima del gas di scisto risulta confrontabile a quello del carbone, in termini di emissioni totali di gas a effetto serra per unità di energia prodotta nell’orizzonte dei cento anni, che è quello utilizzato come riferimento dall’IPCC. Nell’orizzonte a più breve termine di venti anni, quello in cui le emissioni di metano hanno l’impatto peggiore, il contributo del gas di scisto risulta maggiore non solo di quello del gas convenzionale ma persino del carbone.

La posizione espressa da Greenpeace e da altre associazioni ambientaliste sulle prospettive del fracking in UE sono quelle di una sostanziale moratoria, fino a che non verranno risolti e chiariti gli aspetti ambientali che questa forma di estrazione presenta e definite le migliori tecnologie per eliminare o minimizzare questi impatti.

Giuseppe Onufrio, direttore di Greenpeace