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Amianto in India. La Francia e il destino delle portaerei.

Ovvero la storia di una nave fantasma che non vuole nessuno.

News - 12 gennaio, 2006
Immagina di essere lo Stato francese. Cosa ne faresti di una nave da guerra da 27.000 tonnellate, piena di amianto, PCB, piombo, mercurio e di altre sostanze chimiche pericolose che non vuoi e che nessun altro paese europeo è in grado o ha voglia di smantellare al posto tuo? Potresti spedirla in India per farla smontare a mano dagli operai che ogni giorno rischiano la vita nei cantieri di rottamazione.

Caso Clemenceau - Le autorità egiziane hanno richiesto al Ministero della Difesa francese e al Governo Indiano di fornire tutti i certificati previsti dalla Convenzione di Basilea.

Secondo Greenpeace l'arrivo in India della Clemenceau, con tutto il suo carico di amianto e di altre sostanze pericolose, rappresenta una violazione della Convenzione di Basilea, il Trattato internazionale sul trasporto dei rifiuti  pericolosi. Anche la Corte suprema indiana si è pronunciata a sostegno di questa tesi. Spetta adesso al governo indiano confermare il pronunciamento della propria Corte suprema, rifiutando l'autorizzazione all'ingresso della nave nelle proprie acque territoriali.

Intanto questa mattina Greenpeace ha intercettato e abbordato la portaerei francese Clemenceau, nei pressi dello Stretto di Suez, in acque internazionali a 50 miglia dalle coste egiziane.  Le autorità egiziane hanno richiesto al Ministero della Difesa francese e al Governo Indiano di fornire tutti i certificati previsti dalla Convenzione di Basilea. Questa azione segue quella del 12 dicembre scorso, quando Greenpeace aveva assaltato la portaerei francese in rada a Tolone [ leggi il comunicato ].

Clemenceau: una nave scomoda

Greenpeace tiene sotto controllo la portaerei francese da quando, nel 1997, la nave è stata disarmata e dichiarata in disuso. In base ai piani iniziali, la Clemenceau doveva essere semplicemente affondata nel Mediterraneo e diventare, quindi, una sorta di "scogliera artificiale" altamente tossica. Da allora il governo francese e tutti i diversi soggetti che nel tempo hanno avuto in gestione la nave hanno cercato di sbarazzarsi della Clemenceau, con l'obiettivo principale di smantellare la nave, ripulirla di tutto l'amianto e i composti chimici pericolosi impiegati nella sua costruzione e recuperare le 22.000 tonnellate di acciaio.

Per anni si è cercato, senza successo, di cedere la nave all'estero. La rimozione sostenibile dell'amianto in Francia è sempre stata un'opzione troppo costosa e come tale impraticabile per tutti i soggetti che negli anni hanno investito su questo enorme rottame galleggiante, sperando di ottenere facili guadagni. A questo punto il deposito indiano di Alang diventa una soluzione molto allettante per spedire i propri problemi all'estero, in un paese dove la normativa ambientale è carente e i diritti dei lavoratori praticamente inesistenti. I tribunali francesi hanno dichiarato l'affare Clemenceau di competenza militare e in quanto tale esterno alla propria giurisdizione. Questa decisione ha di fatto dato il via libera al trasferimento della nave in India.

Shipbreaking in Asia

La Clemenceau è probabilmente una delle navi più grandi che sia mai stata rottamata, ma ogni anno un'intera armata di imbarcazioni decrepite, cariche di sostanze chimiche pericolose, di amianto, di PCB di metalli pesanti finisce nei cantieri di rottamazione in Bangladesh, India, Cina e Pakistan, dove vengono demolite senza le necessarie precauzioni, con un grave danno per la salute dei lavoratori e per l'ambiente. Quasi la metà di tutte le navi in disuso si trova in India e la maggior parte di queste imbarcazioni approdano nei cantieri di Alang [distretto del Bhavnagar, Sato del Gujarat], lungo la costa occidentale del paese.

In quasi tutti i paesi dove si pratica lo shipbreaking non esiste una gestione corretta dei rifiuti. Non ci sono normative ambientali o, quando ci sono, non vengono rispettate. Gli operai che lavorano nei cantieri di smantellamento non sono equipaggiati a dovere; smontano le carcasse delle navi a mano; bruciano materiali di risulta sulla spiaggia. Le esplosioni dei gas e degli oli combustibili contenuti nelle tubature sono all'ordine del giorno. Questi lavoratori sono esposti 24 ore su 24 alla diossina. Il settore industriale della rottamazione delle navi è in assoluto quello più pericoloso: secondo le statistiche un operaio su quattro è destinato infatti ad ammalarsi di cancro a causa dei veleni presenti sui luoghi di lavoro.

Secondo Greenpeace la Clemenceau è un rifiuto

La Convenzione di Basilea è un trattato internazionale che proibisce l'esportazione di rifiuti pericolosi dalle nazioni più ricche a quelle più povere.

In base a questa Convenzione le navi da rottamare, anche se navi da guerra, sono a tutti gli effetti dei rifiuti.

Secondo la IMO [ International Marittime Organisation ], i regolamenti della Convenzione di Basilea non si applicano alle navi come la Clemenceau. Il ragionamento è che fino a quando non arriva a destinazione, per il semplice fatto che è ancora in grado di navigare, la nave non può essere considerata un rifiuto. Non ci sono quindi gli estremi - secondo la IMO - per ipotizzare una violazione della Convenzione. La situazione sarebbe invece diversa se i composti tossici presenti sulla nave, una volta estratti, fossero stoccati e caricati nuovamente a bordo.

Secondo Greenpeace questo tipo di ragionamento è del tutto inaccettabile. Greenpeace ha anche realizzato un rapporto congiunto con FIDH [ International Federation of Human Rights Leagues ], per denunciare le condizioni di lavoro e l'impatto ambientale dei cantieri per lo smantellamento delle navi. Questo rapporto ricostruisce le storie di 110 lavoratori morti per incidenti nei cantieri di shipbreaking in India e in Bangladesh.

"Le storie di cui si parla nel rapporto rappresentano solo la punta di un iceberg perché non esistono dati ufficiali sui decessi dei lavoratori legati all'esposizione prolungata ai composti chimici pericolosi. In attesa delle nuove regole sulla rottamazione delle navi - l'IMO sta studiando una proposta che non sarà però operativa prima di cinque anni - occorre attenersi alla Convenzione di Basilea e tutelare i diritti umani" ha dichiarato Vittoria Polidori, responsabile della Campagna Inquinamento di Greenpeace Italia.

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