News - 31 ottobre, 2006
Era la notte del 13 luglio, quando il bombardamento della centrale elettrica di Jieh, alle porte di Beirut, provoca lo sversamento in mare di quasi 15 mila tonnellate di petrolio. Oggi Greenpeace presenta una valutazione sugli impatti ambientali di quel disastro.
Greenpeace presenta un rapporto sugli impatti ambientali della guerra in Libano.
"Testimoni di guerra" è il rapporto della missione compiuta dalla Rainbow Warrior in Libano, sotto la direzione scientifica di esperti italiani del Ministero dell'Ambiente (ICRAM e APAT). Non si tratta di un'analisi scientifica dettagliata, ma piuttosto di una raccolta di informazioni che provengono da agenzie della Nazioni Unite, governi, ministeri e organizzazioni non governative locali e internazionali, integrata con osservazioni sul campo effettuate direttamente da Greenpeace.
Quella di Jieh è stata una delle maggiori catastrofi ambientali del Mediterraneo. Il greggio, spinto dal vento e dalle correnti, si è disperso in mare aperto e lungo la costa. La marea nera ha colpito circa 150 chilometri di costa rocciosa e sabbiosa.
I subacquei di Greenpeace hanno monitorato la presenza di residui catramosi nei fondali marini nelle aree di Jieh, a Byblos e presso l'arcipelago delle Palm Islands, un'area protetta circa 70 chilometri a nord di Beirut, presso Tripoli, non lontana dal confine con la Siria. Dalle ricerche è emerso che il catrame si è depositato in gran parte nelle aree immediatamente adiacenti al luogo del disastro e in maniera più sporadica, ma talvolta con ingenti quantitativi, lungo la costa a distanza maggiore.
Gli incidenti legati al petrolio capitano con troppa facilità e purtroppo gli interventi di mitigazione e bonifica non permettono di recuperare più del 20 per cento delle sostanze tossiche rilasciate. È necessario, dunque, abbandonare progressivamente la dipendenza dal petrolio e dai suoi derivati, passando valorizzando le fonti energetiche rinnovabili.
Non solo petrolio: oltre la marea nera
Ma il petrolio in mare non è l'unica conseguenza ambientale del conflitto in Libano. I sistemi di potabilizzazione e distribuzione dell'acqua sono stati seriamente danneggiati. Sono stati colpiti numerosi impianti industriali, alcuni dei quali producevano sostanze chimiche potenzialmente pericolose per la salute umana e per l'ambiente. Sono state bombardate le infrastrutture del Paese, compresi i trasformatori elettrici come quello di Siblane. Molti dei trasformatori in uso in Libano contengono ancora PCB, sostanze vietate dai trattati internazionali, come la Convenzione di Stoccolma. Inoltre, diverse munizioni inesplose sono disperse in vaste aree del Libano meridionale.
Greenpeace chiede che la valutazione degli effetti ambientali della guerra si estenda a tutta la regione libanese e che i risultati vengano impiagati per tutelare, nel lungo termine, la salute umana e dell'ambiente. È una misura necessaria e imprescindibile al successo di ogni strategia di ricostruzione post bellica.