Secondo documenti in possesso di Greenpeace, dal 2014 al 2017 la Miteni di Trissino – società già individuata dalle autorità come fonte principale della contaminazione da PFAS in una vasta area del Veneto – dopo aver ottenuto dalla Regione Veneto l’autorizzazione a trattare rifiuti chimici pericolosi, ha ricevuto ogni anno dall’Olanda, e nello specifico dall’azienda chimica Du Pont (oggi Chemours), quantitativi accertati fino a 100 tonnellate annue di rifiuti chimici pericolosi (codice CER 07 02 01) contenenti il GenX (acido 2,3,3,3-tetrafluoro-2(eptafluoropropossi)-propanoico). Una sostanza che, oltre ad essere persistente e di difficile degradazione, è classificata come potenzialmente cancerogena, e con possibili effetti negativi anche sul fegato che si manifestano agli stessi livelli di concentrazione del PFOA.

Dalla consultazione dei documenti si evince che a Miteni non è stato imposto alcun limite allo sversamento del GenX, rendendo del tutto inefficace l’Autorizzazione Integrata Ambientale concessa nel 2014 per impedire tale contaminazione. È quanto emerge dal rapporto “Sette scomode verità sul GenX”, diffuso oggi da Greenpeace, con cui l’organizzazione ambientalista diffonde gli elementi in proprio possesso per provare a chiarire meglio alcune questioni legate al GenX e alla contaminazione da questa sostanza accertata recentemente da ARPAV nelle falde acquifere del vicentino e in aree vicine al sito produttivo di Miteni.

«È paradossale che ad un’azienda già nota come fonte principale dell’inquinamento da PFAS venga deliberatamente concessa dalle autorità regionali, con negligenza e leggerezza, la possibilità di smaltire rifiuti chimici pericolosi senza inserire alcun tipo di limite allo scarico del GenX, e dal cui trattamento vengono generati enormi quantitativi di rifiuti», dichiara Giuseppe Ungherese, responsabile della Campagna inquinamento di Greenpeace Italia. «Quantitativi che un territorio già gravemente colpito da uno dei fenomeni d’inquinamento ambientale più importanti d’Europa avrebbe sicuramente voluto e dovuto evitare».

Il processo di trattamento di rifiuti nel sito di Miteni avrebbe una resa estremamente bassa e inferiore al venti per cento. Infatti, dalla consultazione del bilancio di massa del processo, redatto da Miteni stessa ad ottobre 2013, emerge che delle 119 tonnellate che l’azienda è stata autorizzata a trattare su base annuale, vengano recuperate solo 17 tonnellate di tensioattivo GenX. Quello che resta delle 119 tonnellate sono principalmente rifiuti in forma di acque reflue inviate all’impianto consortile gestito da AVS (Alto Vicentino Servizi).

Sulla base di dati ufficiali del National Institute of Public Health and the Environment olandese (RIVM), secondo cui il GenX è tutt’altro che privo di rischi per l’ambiente e per la salute, ad inizio 2018 le autorità della Carolina del Nord hanno fermato gli sversamenti di GenX nelle acque superficiali dello Stato statunitense mentre in Olanda, già a partire dal 2017, le autorità locali hanno ridotto di circa un terzo le emissioni consentite di GenX per l’azienda chimica olandese (da 6,4 a 2,03 tonnellate annue). Inoltre, consultando dati di letteratura scientifica, al GenX possono essere associati altri composti pertanto potrebbe non essere l’unico tipo di PFAS sversato nell’ambiente da Miteni a causa del trattamento del rifiuto olandese.

«Lo scenario che emerge evidenzia le gravi inefficienze delle autorità locali venete per proteggere un territorio e una popolazione già gravemente colpiti dall’inquinamento da PFAS», continua Ungherese. «Si tratta di quelle stesse autorità che si professano così all’avanguardia nel gestire un fenomeno di inquinamento tra i più vasti d’Europa ma che, di fatto, con le loro negligenze hanno trasformato, legalmente, parte del Veneto in una Regione dove è concesso il trattamento di rifiuti chimici pericolosi», conclude.

Leggi il rapporto “Sette scomode verità sul GenX

In Italia è in atto un crimine ambientale e sanitario

No ai PFAS e altre sostanze chimiche pericolose.

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