Comunicato stampa - 31 ottobre, 2006
Missione compiuta. Greenpeace rende noto oggi "Testimoni di guerra", il rapporto della missione effettuata dalla nave ammiraglia "Rainbow Warrior", sotto la direzione scientifica di esperti del Ministero dell'Ambiente (ICRAM e APAT), per mitigare gli effetti della marea nera in Libano, causata dai bombardamenti sui depositi di carburante della centrale di Jiyeh, a sud di Beirut.
Greenpeace presenta un rapporto sugli impatti ambientali della guerra in Libano.
Secondo il rapporto si tratta di una delle maggiori catastrofi
ambientali del Mediterraneo. Nel corso delle ricerche, i cui
risultati sono stati comunicati all'organismo di coordinamento, si
è visto che il catrame si è depositato in gran parte nelle aree
immediatamente adiacenti al luogo del disastro e in maniera più
sporadica ma talvolta con cospicui quantitativi, a distanza
maggiore lungo la costa.
Sono state versate in mare tra le 10 mila e le 15 mila
tonnellate di greggio che, spinto dal vento e dalle correnti, si è
disperso parzialmente verso il mare aperto o lungo la costa. La
marea nera ha colpito circa 150 chilometri di costa rocciosa e
sabbiosa, fino alla costa della Siria.
I subacquei di Greenpeace hanno monitorato la presenza di
residui catramosi nei fondali marini nelle aree di Jiyeh (appena a
nord dell'impianto colpito), a Byblos (circa 20 chilometri a nord
di Beirut) e presso l'arcipelago delle Palm Islands (Jazirad an
Nakl, Jazirad Sanani e Jazirad Ramkin e altri isolotti), un'area
protetta circa 70 chilometri a nord di Beirut, presso Tripoli, non
lontana dal confine con la Siria.
"Tra gli edifici colpiti ci sono nove impianti industriali: a
parte il sito di Jiyeh, sono state colpite altre cinque cisterne di
idrocarburi ubicate in vari punti della costa" racconta Alessandro
Giannì, biologo marino e sub, responsabile della campagna mare di
Greenpeace, di ritorno dal Libano. "Come il petrolio in mare, anche
altre sostanze chimiche rilasciate da industrie colpite dai
bombardamenti hanno contaminato pesantemente l'aria, i fiumi, il
terreno e il mare con effetti che potrebbero potenzialmente colpire
due milioni di persone, quasi la metà della popolazione
libanese".