Comunicato stampa - 18 giugno, 2010
Greenpeace diffonde oggi una nuova inchiesta, “Le navi tossiche: lo snodo italiano, l’area mediterranea e l’Africa", che riassume più di vent’anni di traffico di rifiuti tossici e radioattivi. Per la prima volta vengono diffuse foto risalenti al 1997, che dimostrano come centinaia di container di dubbia provenienza siano stati interrati nell’area portuale di Eel Ma’aan in Somalia. Il porto somalo, a trenta chilometri da Mogadiscio, è stato costruito da imprenditori italiani. Greenpeace ha ricevuto queste fotografie da un Pubblico Ministero.
L'inchiesta elenca numerosi casi di esportazione illegale di
rifiuti pericolosi: alcuni sono stati bloccati anche grazie a
Greenpeace, mentre in altre occasioni questi vergognosi carichi
sono spariti, a volte "dispersi" in mare. Di molti non abbiamo mai
saputo nulla. Viene tracciata anche l'evoluzione di questo traffico
che, da attività individuali, si è organizzato in una "rete" di cui
nomi di persone e imprese sono spesso stati segnalati a
investigatori e magistrati. In troppi l'hanno fatta franca e il
sospetto che "la rete" operi ancora oggi non può non
affacciarsi.
Un altro elemento nuovo riguarda il caso più recente della
ricerca in mare, nel 2009, del presunto relitto della "Cunski", al
largo di Cetraro. Per convalidare le osservazioni della Procura di
Palmi (Reggio Calabria), nell'ottobre del 2009 il governo italiano
ha utilizzato una nave per le ricerche sottomarine - Mare Oceano -
di proprietà della famiglia Attanasio. Greenpeace rende noto che ci
sono indicazioni chiare del fatto che il Ministero britannico della
Difesa abbia offerto mezzi e personale qualificato a un prezzo
inferiore rispetto a quello proposto dai proprietari di Mare
Oceano. La ragione per cui l'offerta britannica sarebbe stata
rifiutata rimane ignota, così come i termini del contratto della
Mare Oceano, mentre è noto che Diego Attanasio è coinvolto nel caso
"Mills-Berlusconi".
Come denunciato dall'Agenzia Europea dell'Ambiente in un
rapporto del 2009, il traffico illegale di rifiuti tossici è un
problema ancora rilevante. L'Agenzia sostiene che la Convenzione di
Basilea, che impone il divieto dell'export di rifiuti tossici tra
Paesi OCSE e non-OCSE, è ben lontana dall'essere pienamente
applicata.
Greenpeace ritiene necessario che l'ONU verifichi la presenza di
rifiuti tossici a Eel Ma'aan e che l'UE aumenti le misure di
sicurezza per la prevenzione della produzione e traffico di rifiuti
tossici. Inoltre, nel contesto delle attività dell'Osservatorio
"Per un Mediterraneo libero dai veleni" (costituito da una dozzina
di associazioni), chiede al Governo italiano che si crei un
coordinamento tra le autorità investigative, un censimento delle
attività già effettuate per la ricerca dei relitti delle "navi dei
veleni" e l'esecuzione di un eventuale, successivo piano per
identificare e rimuovere quanto più possibile i relitti
pericolosi.
«Abbiamo tutti il diritto di conoscere quello che è stato
faticosamente raccolto da chi ha indagato per far luce su questi
traffici criminali», afferma Alessandro Giannì, direttore delle
Campagne di Greenpeace: «Alcuni hanno pagato cara la ricerca della
verità su queste vicende, come Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, uccisi
tre anni prima che venissero scattate le foto che riveliamo. Ma ora
esiste una mole impressionante di fatti e dati che, anche se pur
non ha prodotto una verità giudiziaria, può permettere la
ricostruzione di una verità storica ormai matura».
Notes: Link
Inchiesta “Le navi tossiche: lo snodo italiano, l’area mediterranea e l’Africa" (in inglese)
http://www.greenpeace.it/Report-The-toxic-ship.pdf
Sintesi inchiesta (in italiano)
http://www.greenpeace.it/Briefing-navi-tossiche.pdf