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4 anni fa il disastro nucleare di Fukushima, ma la contaminazione non si ferma

Comunicato stampa - 9 marzo, 2015
Sono passati quattro anni dal disastro nucleare di Fukushima che si verificò l’11 marzo 2011, in seguito al maremoto e allo tsunami, con la fusione dei noccioli di tre reattori della centrale. L’incidente, come Greenpeace valutò per prima, venne classificato dall'AIEA (Agenzia internazionale per l’energia atomica) al grado 7, il massimo grado della scala, prima raggiunto solo dal disastro di Cernobyl.

Oltre 150 mila persone furono costrette ad abbandonare le loro case
per sfuggire alla contaminazione radioattiva. Di queste, 120 mila
persone non hanno ancora fatto ritorno a casa e il processo di
decontaminazione sembra non aver fine, perché le montagne coperte di
foreste e i fiumi rilasciano continuamente radioattività che
raggiunge zone in precedenza decontaminate.

Residui radioattivi si trovano ora in 54 mila diversi siti all’interno
della Prefettura di Fukushima, inclusi parcheggi e parchi pubblici. Le
stime ufficiali parlano di 15-28 milioni di metri cubi di rifiuti
atomici.

Nonostante il progressivo arresto di tutti i 48 reattori giapponesi
(che coprivano circa il 30 per cento della produzione elettrica) e
sebbene non sia stato più prodotto un solo kilowattora da energia
nucleare negli ultimi 18 mesi, non si è mai registrato finora alcun
blackout. Al contrario si è assistito a interventi massici di
efficienza energetica e a un’espansione significativa delle
rinnovabili: dopo la Cina, il Giappone è stato il secondo Paese al
mondo per installazione di pannelli fotovoltaici nel 2013 e
l’efficienza energetica ha consentito una riduzione dei consumi
energetici pari a quella prodotta da tredici reattori atomici.

Uno dei problemi maggiori a Fukushima oggi è il trattamento delle
acque radioattive che vengono continuamente prodotte. L’azienda
giapponese del nucleare, TEPCO, prevedeva di completare il trattamento
delle oltre 300 mila tonnellate di acqua contaminata entro questo mese
di marzo, ma ora la scadenza è stata spostata a maggio. Ogni giorno
occorrono 300 tonnellate d’acqua per raffreddare il nocciolo e il
combustibile fuso in tre reattori, che si aggiungono all’acqua da
decontaminare. A questa quantità se ne aggiungono altre 3/400 di acque
sotterranee che passano quotidianamente dal sito e si contaminano.

“Un’emergenza che si trova ora la TEPCO è quella di ridurre il volume
d’acqua di falda che entra nel sito di Fukushima” spiega Giuseppe
Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace Italia. “L’idea che stanno
studiando i tecnici è di costruire un muro di ghiaccio lungo un
chilometro e mezzo attorno al sito, per ridurre a un terzo la
quantità di acqua radioattiva che viene rilasciata nell’oceano. Il
muro dovrebbe resistere sei anni, fino a quando i noccioli dei
reattori saranno stati sigillati. L’efficacia di quest’operazione, mai
tentata prima, anche secondo alcune fonti ufficiali è tutta da capire
e rappresenta l’assurdità della situazione a Fukushima, destinata a
durare decenni”.

In questi giorni è in corso in Giappone la visita del Cancelliere
tedesco Angela Merkel che sta cercando di ottenere impegni precisi per
combattere i cambiamenti climatici da parte del Giappone e degli altri
Paesi del G7 prima del vertice che si terrà in Germania a giugno.
Il paese nipponico però non riuscirà a ridurre le emissioni di gas
serra se continua a puntare sul nucleare per il 15-25 per cento e
sulle rinnovabili solo per il 20 per cento, secondo gli obiettivi che
si è prefissato al 2030. In seguito al disastro di Fukushima 21
reattori sono sotto indagine da parte dell’Autorità di sicurezza
nucleare: se anche tornassero operativi, arriverebbero a generare al
2030 non più del 14 per cento dell’energia, meno della metà rispetto
al 2011.

Leggi i rapporti “L’impatto di Fukushima” e “La crisi del nucleare in
Giappone” (in inglese) e la scheda “Fukushima: la situazione a 4 anni
dal disastro in 10 punti” (in italiano): 

http://www.greenpeace.org/italy/it/ufficiostampa/rapporti/Fukushima-4-anni-fa-il-disastro-nucleare/

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