COP 21, ossia la ventunesima conferenza delle parti sui cambiamenti climatici sotto l’egida delle Nazioni Unite, che si tiene in questi giorni a Parigi, e che tra poche ore volgerà al termine. La prima di queste conferenze mondiali sul clima si svolse a Rio nel 1992. Da allora l’andamento di questi incontri si può sintetizzare in 19 “nulla di fatto”, un protocollo (Kyoto, 1997) e un grande punto interrogativo, che verrà sciolto nelle prossime ore nella capitale francese.

 

La COP21 si è presentata però con auspici e speranze differenti rispetto, ad esempio, allo storico fallimento di Copenaghen nel 2009. Grandi potenze (USA e Cina su tutte) hanno iniziato a prendere sul serio il problema del clima e dell’inquinamento, aziende importanti (come Google e Apple) stanno investendo cifre significative sulle energie rinnovabili, e addirittura il Papa ha pubblicato un’enciclica – dal titolo Laudato Si’ – che addita i combustibili fossili (carbone, petrolio e gas) come i principali colpevoli del riscaldamento globale, spostando la questione climatica anche a un livello morale.

Ma se il problema dei cambiamenti climatici è ormai scientificamente appurato, così come lo sono le soluzioni da percorrere (rinnovabili ed efficienza energetica), perché negli ultimi 15 anni si sono susseguiti solo fallimenti? La risposta, almeno in parte, è svelata da una inchiesta di Greenpeace UK che ha documentato come due professori americani (Frank Clemente della Penn State University e William Happer di Princeton) si siano resi disponibili a firmare, dietro lauto compenso, articoli “scientifici” (il virgolettato in questo caso è d’obbligo) che negassero gli impatti sanitari del carbone e l’importanza del tema dei cambiamenti climatici, proprio in previsione della COP21.

Ai componenti del team investigativo di Greenpeace è bastato fingersi dipendenti di grandi aziende delle fonti fossili e chiedere senza giri di parole ai due professori di scrivere gli articoli. Nessun problema: tariffario alla mano i luminari negazionisti del clima hanno contabilizzato il proprio lavoro con cifre a tre o quattro zeri, garantendo l’anonimato dei finanziamenti.

Ecco dunque perché in più di vent’anni anni di summit internazionali i successi scarseggiano: dietro al clima si nascondono (ormai non più velatamente) gli enormi interessi delle aziende e dei Paesi legati alla filiera del carbone, del petrolio e del gas. Ed ecco anche perché, nonostante le speranze riposte nel vertice di Parigi, difficilmente verrà siglato un accordo abbastanza ambizioso.

A guardar bene, però, un successo a Parigi è già stato registrato, e riguarda i cittadini. Durante le due settimane di negoziati, ci sono state mobilitazioni in tutto il mondo. Quasi 800 mila persone sono scese nelle strade alla vigilia del summit: numeri impressionanti se si pensa che la manifestazione più imponente, quella di Parigi che prevedeva la partecipazione di 400 mila persone, è stata cancellata per motivi di sicurezza.

E proprio nelle persone risiede la speranza: a prescindere da quelli che, tra poche ore, saranno gli accordi raggiunti alla COP21, Parigi non è un punto di arrivo bensì un punto di partenza per un movimento globale a difesa del clima, per fermare carbone petrolio e gas e assicurare a tutti un futuro 100% rinnovabile. Perché, in fin dei conti, non si sta parlando di salvare il clima o il Pianeta, ma molto più banalmente milioni di vite umane sulla Terra.

Luca Iacoboni - campaigner Energia e clima Greenpeace Italia