"È la caratteristica delle censure più rigide quella di dare credibilità alle opinioni che attacca". Così diceva Voltaire.
Come dire: se ti censurano ti rendono più forte; se ti censurano è perché ti temono.

Chissà cosa penserebbe il celebre filosofo illuminista del "Bill C-51", proposta di legge anti terrorismo promossa in questi giorni dal governo canadese e che, se approvata, equiparerebbe i movimenti ambientalisti ai terroristi. E potrebbe dunque mettere sullo stesso piano l'Isis con chi si oppone all'uso del petrolio e manifesta in difesa del clima. La pericolosa similitudine si legge a chiare lettere in un rapporto della Royal Canadian Mounted Police, che Greenpeace è riuscita a rendere pubblico.

Ma la lucida follia del governo canadese non finisce qua. Scorrendo ulteriormente il testo della proposta in questione, si legge che "organizzazioni come Greenpeace, Tides Canada e Sierra Club sostengono che il cambiamento climatico sia la minaccia globale più seria, e che il riscaldamento globale sia una diretta conseguenza delle elevate emissioni di gas serra nell'atmosfera, causate secondo loro in gran parte dall'uso smodato di combustibili fossili".

Il governo canadese dunque non crede al cambiamento climatico, e non vede alcun collegamento tra il riscaldamento globale e l'uso dei combustibili fossili. Peccato che a sostegno della "tesi ambientalista" ci sia invece la quasi totalità del mondo scientifico (qui il quinto rapporto IPCC) e, ad esempio, personalità politiche come il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, che durante un recente discorso pubblico ha dichiarato che il cambiamento climatico è una minaccia alla pubblica sicurezza più di quanto lo sia il terrorismo.

Ricapitolando: per Stati Uniti (e resto del mondo) il riscaldamento globale è un pericolo enorme, ma passato il confine con il Canada il cambiamento climatico smette di esistere, e il pericolo è invece rappresentato da chi manifesta per difendere il clima. A ben vedere però una ragione che giustifichi questa follia scientifica del governo canadese c'è, e ha un nome: si chiama sabbie bituminose. Le tar sands (questo il nome in inglese) sono la fonte di petrolio più inquinante che esista e il Canada ne è il maggior produttore ed esportatore al mondo. In pratica, l'economia canadese si alimenta grazie al peggior petrolio in circolazione, ed è per questo che il presidente Harper vede nei movimenti ambientalisti una enorme minaccia, al pari del terrorismo.

Non è questione di sicurezza pubblica quindi, bensì si tratta di difendere in ogni modo i propri interessi. E il Canada, in questa battaglia, è in buona compagnia. Il governo indiano, ad esempio, nel 2014 ha bloccato dei fondi di Greenpeace India, salvo poi doverli sbloccare su ordine dell'Alta Corte di giustizia. E recentemente ha perfino impedito ad una campaigner di Greenpeace India, Priya Pillai, di volare in Inghilterra per un'audizione presso il parlamento britannico, accusandola di "voler parlar male dell'India". Ma perché tanto accanimento? Semplice: in India, insieme ad altre associazioni e alle popolazioni locali, Greenpeace è riuscita a bloccare la distruzione di una foresta che, nei progetti governativi, avrebbe dovuto lasciare spazio ad una miniera di carbone. Da questo l'accusa mossa dal governo indiano nei confronti dell'organizzazione di "opporsi allo sviluppo del Paese". Accusa paradossale, dal momento che proprio Greenpeace, nel luglio 2014, ha portato elettricità in un villaggio al buio da trenta anni, grazie a micro reti alimentate solo da energia solare e da un sistema di accumulo. Questo è sviluppo. Distruggere una foresta ed i suoi abitanti per far spazio ad una miniera di carbone non lo è.

È quindi evidente che quella della pubblica sicurezza è solamente una scusa dietro la quale si cela l'ennesimo tentativo di difendere un modello di sviluppo, quello basato su petrolio e carbone, che ha portato negli anni a disastri ambientali, guerre, inquinamento e costi per tutti cittadini, riempiendo nel frattempo le tasche di pochi (e sempre gli stessi). Un modello ormai inesorabilmente in declino, nonostante gli estremi tentativi di difesa da parte di alcuni Paesi, tra cui va annoverata l'Italia di Renzi, che con la legge "Sblocca Italia" ha in realtà sbloccato trivelle per mare e per terra. Rinnovabili ed efficienza energetica sono ormai un'alternativa reale e conveniente, e gli ambiziosi obiettivi di Paesi come la Danimarca -che sarà 100% rinnovabile al 2050 - sono solo una delle prove a supporto di questa tesi.

Lo sviluppo delle rinnovabili sta mettendo in discussione il sistema basato sulle fossili e le potenti lobby del settore stanno cercando di ostacolare in ogni modo questo cambiamento. Prima hanno detto che le rinnovabili non sarebbero mai state in grado di coprire i consumi - ma con il progredire delle tecnologie sono stati smentiti -, poi hanno tentato di argomentare che sole e vento sono troppo cari - ma nel mondo i sussidi ai combustibili fossili sono stati 550 miliardi dollari nel 2013 (fonte International Energy Agency), oltre quattro volte quelli per le rinnovabili -, infine hanno cercato di raccontare che non c'è sviluppo senza petrolio e carbone. E invece non è così: i dati dimostrano che rinnovabili ed efficienza sono tra i pochissimi settori in crescita durante la crisi e, a parità d'investimento, generano maggiori posti di lavoro.

Ora che le motivazioni si stanno esaurendo e la rivoluzione energetica avanza sempre più rapidamente, cercano di bloccarla con la censura. Cadendo perfino nel ridicolo, come ha fatto il governo canadese equiparando gli ambientalisti ai terroristi. Ci sarebbe da ridere, se non fosse da piangere.

Luca Iacoboni - Campaigner Energia e clima