I guai giudiziari di Enel si aggravano. Nel processo apertosi ieri ad Adria il pubblico ministero, Manuela Fasolato, ha ampliato i capi d’imputazione, che colpiscono tra gli altri l'amministratore delegato dell'Enel Fulvio Conti e i suoi predecessori Franco Tatò (dal 1996 al 2002) e Paolo Scaroni (fino al 2005). Alla contestazione dell’articolo 437 del codice penale (Rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro) si aggiunge ora quella dell’articolo 434 (Crollo di costruzioni o altri disastri dolosi) e le pene ipotizzate per gli imputati si fanno più severe, fino a 12 anni di reclusione.

Greenpeace, insieme ad altre associazioni ambientaliste, al ministero dell'Ambiente e della Salute pubblica e a molte altre istituzioni locali e rappresentanze del mondo produttivo e del territorio, è parte civile in questo procedimento.

Ricordiamo che Enel è stata già condannata per il malfunzionamento del vecchio impianto ad olio combustibile che ora vuole riconvertire a carbone. L’impianto non rispettava le norme ambientali e i suoi impatti sanitari sono certificati da studi epidemiologici (in particolare sui danni che le sue emissioni avrebbero causato alla popolazione minorile). Mentre deve ancora risarcire il territorio per tutti i danni già causati, l’azienda continua a portare avanti il suo progetto di conversione, con la volontà di realizzare un impianto a carbone da 1.980 MW.

La centrale è praticamente nel Parco regionale del Delta del Po, uno dei luoghi più suggestivi e particolari dal punto di vista ambientale a livello internazionale. Vicino alla centrale si trova il più grande rigassificatore offshore del mondo, che consentirebbe l’alimentazione a gas, combustibile certo meno impattante del carbone. Anche se la nuova centrale utilizzasse tecnologie più pulite rispetto ad altre centrali, l’impatto sanitario rispetto a una scelta a gas sarebbe comunque oltre 5 volte superiore, con una stima fino a 62 morti premature all’anno. Le emissioni della centrale coinvolgerebbero buona parte della Pianura Padana, area già critica per le concentrazioni di particolato fine.

Ma voi fareste costruire e gestire una nuova centrale, alimentata con la fonte più sporca e dannosa, a un’azienda che nello stesso sito – peraltro un parco naturale! - si è già resa colpevole di disastri gravissimi e rischia oggi di essere nuovamente condannata?

Enel, non più tardi di due mesi fa, ha trascinato in tribunale Greenpeace, rea di aver denunciato gli impatti della sua produzione a carbone sulla salute, sull’ambiente, sul clima, sull’economia. Ma la magistratura ha riconosciuto la fondatezza e la validità delle nostre accuse. E oggi, sotto processo… c’è proprio Enel.

Andrea Boraschi, responsabile campagna Energia e Clima