Andrea LeporeGuardare un albero pieno di vita che viene abbattuto è un’esperienza tremenda. Sorvolare migliaia di alberi ammassati l’uno sull’altro come bastoncini è un’esperienza che non dimenticherò mai. Il taglio è netto: la foresta che lascia il posto al nulla. Anzi, a quanto di peggio ci può essere: miniere di bitume, laghi di veleno, impianti e ciminiere intossicanti. Foreste in cambio di petrolio: il nuovo patto con il diavolo.

Una fila di 15 pick-up incolonnati intorno a un drive-away che aspettano il turno per comprare bicchieroni di caffè. Il caffè si beve meglio in auto. E col motore acceso. Litri di caffè e litri di carburante: una colazione abbondante. Rimaniamo a fissare le auto rombanti in fila indiana. Una signora dal suo pick-up ci urla: “Lo so chi siete! Quelli di Greenpeace!!”. Siamo noi, infatti. In questo paesone canadese di 80.000 abitanti, cresciuto troppo velocemente per le sabbie bituminose, Greenpeace è l’unica a dire chiaramente che non ci serve tutto questo petrolio. Lo ha detto forte e chiaro portando a termine tre azioni in un solo mese, l'ultima venerdì.

La Shell, la British Petroleum, la Suncor, padrone della città, dice che invece il petrolio ci serve. Tanto ce n’è quanto ne vogliamo. Basta radere al suolo un milione di ettari di foresta boreale e il gioco è fatto. A conti fatti, rasi tutti al suolo rilascerebbero 873 milioni di tonnellate di CO2, lo dice una ricerca di Global Forest Watch. Per estrarre il petrolio dalle sabbie bituminose si emette quattro volte l’anidride carbonica necessaria per estrarlo con i metodi tradizionali.

Mancano quasi 60 giorni a Copenhagen. Se un accordo ambizioso verrà raggiunto, il Canada non potrà permettersi di emettere tutti questi gas effetto serra e anche la foresta boreale potrà essere salva. Vinciamo questa partita! Adesso!