È bene non dimenticare la lunga sequenza di orrori che si scatenò quel 6 agosto 1945, alle otto del mattino (ore 08:16:08) quando Little Boy illuminò il cielo di Hiroshima. Non solo per le oltre 60.000 persone che morirono subito (forse, i meno sfortunati) e nemmeno per le decine, o centinaia, di migliaia di vittime che seguirono nei mesi, e poi negli anni, successivi.

Cosa abbiamo imparato da quella lezione? Viviamo forse in un mondo più sicuro? Oggi bastano i tweet di potenti squinternati a farci ripiombare nel clima degli anni della guerra fredda, quando a lungo si fronteggiarono blocchi di Paesi, sfidandosi con quelle odiose minacce di morte. Pochi oggi forse ricordano qual è stato a lungo il vero significato di nomi come Comiso, Aviano, Ghedi: è anche quello il passato (e per Aviano e Ghedi il presente: una cinquantina di bombe atomiche sono ancora lì) del "deterrente nucleare" in Italia.

L'arma finale per anni ha condizionato le nostre vite. Per anni abbiamo dovuto convivere, o lottare, non solo contro le "bombe atomiche" ma pure contro "il nucleare", contro la bufala di una produzione energetica sicura e a basso costo che, a conti fatti, è servita soprattutto a produrre qualche decina di tonnellate di plutonio (per le bombe ovviamente). L'energia elettrica era solo il sottoprodotto di un sistema controllato da esigenze militari e il termine "tecnologia a doppio uso" riassume bene la doppiezza, l'inganno di cui siamo ancora vittime.

Anche per questo, perché siamo tutte ancora vittime di un colossale inganno cui ci ribelliamo, Greenpeace accetta con umiltà e riconoscenza il Premio "Terra e Pace" che ci viene assegnato in occasione e memoria del 73° anniversario della tragedia di Hiroshima perché la nostra associazione è "impegnata da anni nella difesa del Pianeta, nella tutela dell'ambiente per un modello di sviluppo sostenibile in grado di prevenire le cause dei conflitti internazionali e le migrazioni ambientali legate ai mutamenti clima".