pippoIl presunto ritrovamento della nave Cunski a largo di Cetraro. I traffici di rifiuti dall’Italia all’Africa. Il caso Ilaria Alpi. Troppi dubbi rimangono su queste e altre vicende legate alle navi tossiche. Abbiamo così deciso di ricostruire il quadro delle esportazioni di rifiuti pericolosi e radioattivi nel nuovo rapporto “The toxic ships” che è stato elaborato in lingua inglese per darne la massima diffusione a livello internazionale.

Cominciamo dalla Calabria. Lo  scorso settembre - sulle basi delle dichiarazioni di un pentito della Ndrangheta (Francesco Fonti) - è stato identificato da una ricerca condotta per conto della Regione Calabria il presunto relitto della nave Cunski al largo di Cetraro, nave ufficialmente smantellata ad Alang (India). Il pentito, che collabora con la magistratura dal 1994 con importanti risultati investigativi, sostiene di avere affondato tre navi cariche di scorie tossiche e nucleari, tra cui la presunta Cunski.

Dopo questo ritrovamento, il Ministero dell’Ambiente ha effettuato una seconda ricerca in base alla quale il relitto identificato sarebbe, invece, il piroscafo “Città di Catania” (costruito quasi mezzo secolo prima e affondato durante la Prima Guerra Mondiale). Greenpeace - insieme alle dieci associazioni riunite nell’Osservatorio per un Mediterraneo libero da veleni - si è già espressa lo scorso febbraio: troppe incongruenze e troppo poca trasparenza nelle conclusioni tranquillizzanti del Ministero dell’Ambiente (analizzate anche nel recente libro di Riccardo Bocca, Le navi della vergogna, BUR 2010).

Le ricerche sono state condotte da una nave - Mare Oceano - di proprietà del gruppo armatoriale Attanasio, uno dei cui esponenti è stato coinvolto nel “Caso Mills”, ben noto alle cronache italiane. Secondo gli elementi che abbiamo raccolto, il governo italiano avrebbe respinto l’offerta da parte del Ministero della Difesa britannico di mezzi e personale tecnico altamente qualificati (e a quanto pare meno onerosi in termini economici di quelli della Mare Oceano). Questa informazione non è mai stata resa pubblica: il Ministro Prestigiacomo l’ha smentita ma noi la ribadiamo. Sarebbe, intanto, interessante che il Ministero dell’Ambiente rendesse noti i termini del contratto con la nave del gruppo Attanasio.

Una delle novità del rapporto “The toxic ships” – che L’Espresso ha presentato in esclusiva- riguarda il caso della Somalia, sul quale abbiamo riportato stralci dell’indagine giudiziaria a suo tempo condotta dal PM Tarditi di Asti, poi archiviata in quanto non era possibile proseguire le indagini a causa della guerra nel Paese africano. Abbiamo pubblicato alcune foto inedite che testimoniano come il porto di Eel Ma’aan sia stato costruito interrando all’interno container contenenti materiali di dubbia provenienza (400 secondo le testimonianze riportate nell’inchiesta giudiziaria).

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Nell’indagine si riporta che Marocchino, il faccendiere coinvolto nell’omicidio dei giornalisti Rai Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, offriva di smaltire rifiuti tossici e radioattivi in Somalia.

Una verifica sul posto è resa impossibile dalla situazione di permanente conflitto in Somalia e, dunque, le foto hanno un carattere indiziario, ma dal quadro delle indagini e dai rapporti anche di agenzie dell’Onu emerge come la Somalia, come altre parti dell’Africa, sia stata trattata come una vera e propria discarica incontrollata di rifiuti pericolosi e nucleari. Il segno del fallimento dei Paesi industrializzati – Ue inclusa – a gestire in modo responsabile i rifiuti pericolosi.

L’atteggiamento del governo è stato mirato a tranquillizzare e coprire il caso. Certo, dopo tanti anni il recupero di relitti con carichi pericolosi potrebbe essere difficile o troppo rischioso, dato l’infragilimento subito sott’acqua. Ma è necessario riportare a galla la verità, mettere assieme tutte quelle istituzioni che a vario titolo si sono occupate di queste vicende per preparare e mettere in pratica le azioni necessarie a identificare e bonificare le “navi tossiche” eventualmente identificate.