Ci sono voluti 11 anni per avere una sentenza. E sono stati tutti assolti per il disastro petrolifero della Prestige, uno dei peggiori nella storia dell’industria petrolifera. Solo il comandante greco ha avuto una condanna che non sconterà, di appena 9 mesi, per essersi rifiutato di rimorchiare la nave.

I veri responsabili, come spesso accade per i delitti ambientali, rimangono impuniti.

Ricordo che andammo all’epoca  - noi di Greenpeace Italia, con l’aiuto dei colleghi spagnoli - sul luogo dell’incidente a documentare quello che era successo insieme ad alcuni giornalisti, dalla RAI ai maggiori periodici. Vedemmo gli scogli imbrattati di petrolio, i volontari che si passavano i secchi in una gigantesca e grottesca catena umana, carichi di quel liquido viscido che non ti lascia più. Per farlo andar via, in mare, usavano getti di acqua calda ad alta pressione quando non prodotti chimici.

Ancora non conosciamo con esattezza l’impatto ambientale sull’ecosistema marino di queste operazioni. Di sicuro il petrolio rimosso dalla vista dei passanti sul bagnasciuga è stato gettato in mare. Occhio non vede, cuore non duole.

Così devono aver ragionato le autorità, quando invece di far avvicinare la nave in avaria l’hanno allontanata, ecco una delle vere cause del disastro. Così 63 mila tonnellate di greggio sono finite in mare, toccando le coste di ben tre Stati, ma nessuno paga. In quelle settimane poi l’informazione è stata scarsa quando non falsa, in attesa della marea nera che non si poteva più nascondere.

Si chiama “Costa della morte” quella dove la Prestige si è spezzata in due e anche dagli antichi portolani si sapeva che non è il posto più tranquillo dove transitare con una vecchia carretta dei mari. Nel Mediterraneo, le Bocche di Bonifacio sono un altro punto tempestoso e solo dopo il disastro Prestige e grazie alla pressione degli ambientalisti – Greenpeace in testa - si è riusciti a vietarvi il passaggio delle petroliere. Tutto il bacino del Mediterraneo, in quanto mare chiuso, è però a rischio di incidenti di questo tipo.

Fino a quando non ci sarà una Corte internazionale per i reati ambientali, poi, troppe di queste tragedie resteranno impunite. Con danni per l’ambiente e le comunità. Toccammo con mano allora la depressione economica della Galizia (e la crisi era ancora lontana!) dove la piccola pesca e la raccolta dei frutti di mare erano tra le attività principali e furono duramente colpite dal disastro.

Immagino come saranno rimasti dopo la sentenza pescatori e attivisti come Juan, Julia e Clara che incontrammo a La Coruňa. Era nato anche un movimento, “Nunca màs” (mai più) ed è quello che ci auguriamo ancora oggi per i disastri petroliferi. Aggiungerei anche un “Nunca màs” a sentenze come questa.

Per evitare che accada un altro Prestige bisogna che gli angoli più fragili del pianeta non siano più oggetto di attenzione delle compagnie petrolifere. Per questo proteggere l’Artico è una battaglia fondamentale e possiamo farcela solo se siamo in tanti perché gli interessi economici allo sfruttamento delle risorse sono enormi. Non a caso 28 attivisti di Greenpeace e due giornalisti free lance “soggiornano” da 58 giorni nelle carceri russe, in seguito a una protesta pacifica contro le trivellazioni.

Gabriele Salari - Ufficio Stampa

Twitter @gabrielesalari