I sette cetacei spiaggiati sulle coste adriatiche di Punta Penna sono il più triste e cupo segnale d’allarme che potessimo ricevere di questi tempi.

(Foto Ansa.it)

La sofferenza di quegli animali – tre di essi sono morti – deve ricordarci quanto sia fragile l’equilibrio che lega le attività umane al mondo che ci circonda, alla natura. Non sono ancora chiare le cause che hanno portato quei capodogli a perdere la rotta: è possibile – e per alcuni esperti probabile - che a causare il disorientamento siano state le attività di prospezione per la ricerca di giacimenti di gas o petrolio sui fondali marini. I sospetti si appuntano sull’inquinamento acustico causato dalle attività di ricerca condotte con l’air-gun, una tecnica che produce spari estremamente violenti e frequenti di aria compressa, dai quali si ottengono onde riflesse utili a estrarre dati sulla composizione del sottosuolo.

Se l’autopsia dei cetacei morti non dovesse chiarire in maniera ultima le cause del loro decesso, o se si dovesse escludere questa causa, resterebbe comunque una certezza: quelle tecniche di esplorazione determinano impatti severi sulla fauna ittica e sulla flora marina. Possono e potranno essere la causa di nuovi spiaggiamenti o di nuovi terribili danni.

La morte di tre capodogli e il  pericolo corso da altri quattro sono – proprio in questi giorni – un lamento straziante che il mare ci supplica di accogliere: dobbiamo arrestare le trivellazioni off-shore che il governo Renzi sta promuovendo.

Dai nostri fondali si vogliono estrarre esigue quantità di petrolio che coprirebbero i nostri consumi solo per poche settimane, invertendo clamorosamente l’ordine delle priorità che, altrimenti, detterebbero per buon senso la rotta dell’economia italiana. Il decreto “Sblocca Italia”, entrato in vigore in questi giorni, non è altro che un decreto “Sblocca Trivelle”: per il profitto di poche aziende, si minaccia di danneggiare seriamente i nostri ecosistemi marini col rischio di impatti negativi non solo sulla fauna marina ma anche al turismo, alla pesca sostenibile, alla vita delle comunità costiere.

Il governo dà un via libera alle trivellazioni di petrolio, mentre colpisce le fonti rinnovabili, che già oggi valgono il 40% della nostra produzione elettrica, e rimanda (e semmai cancella) le misure di sostegno all’efficienza energetica. Il miraggio è chiaro: fare dell’Italia un’inedita Arabia mediterranea. In realtà le quantità di petrolio estraibile sono limitate a ancor più lo sono quelle sotto il fondo del mare.

Per fare ciò Renzi stravolge le regole: accentra le competenze e le decisioni nei ministeri, riducendo il ruolo delle Regioni nei processi di autorizzazione; e – in spregio alle normative europee -  cancella l’obbligatorietà delle Valutazioni d’Impatto Ambientale (VIA) per quei progetti di estrazione offshore posti “in prossimità di aree di altri Paesi rivieraschi”. Trivella facile, insomma. Niente pastoie burocratiche, niente lacci e lacciuoli: bucare i fondali per estrarre fonti fossili sarà semplice, molto più semplice.

Dobbiamo attenderci altre tragedie come quella di Punta Penna dunque? Si. Ma non solo. Tutto questo – la “svolta fossile” di Renzi - avviene mentre la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera ha toccato nuovi record. Il clima è gravemente malato e la causa sono proprio quelle fonti fossili che miopemente rincorriamo e consumiamo.

Alla vigilia di un summit previsto tra pochi giorni a New York, in cui tutti i governi del mondo – incluso il nostro - saranno chiamati a fronteggiare la minaccia posta dal climate change, e mentre persino gli USA e la Cina mostrano segnali inediti di disponibilità per ridurre le emissioni di CO2 in atmosfera, l’Italia procede in direzione ottusa e contraria. Le grandi economie europee hanno fatto scelte molto chiare sul modello energetico che intendono sviluppare: noi puntiamo all’autarchia fossile, apparentemente inconsapevoli di quale sia il futuro della ricerca, della produzione, dello sviluppo energetici.

Negli scenari prodotti da Greenpeace le fonti rinnovabili possono arrivare a coprire al 2030 oltre il 40% del fabbisogno totale di energia ed il 67% dell'elettricità. Possono garantire al Paese venticinquemila posti di lavoro in più entro il 2020 e attrarre investimenti consistenti, nonché produrre un risparmio netto medio di cinque milioni di euro l’anno. Combinate con l’efficienza energetica, le rinnovabili possono salvare il clima e i nostri polmoni; possono sostenere l’economia, l’occupazione, la ricerca e lo sviluppo, alleggerendo la nostra bolletta energetica e consegnandoci un futuro in cui l’energia e l’ambiente non saranno perennemente in antitesi. Non è passato molto tempo da quando i programmi del candidato Renzi promettevano intensa crescita delle energie pulite. Che fine hanno fatto quegli impegni?

In questa storia ci sono molti altri foschi interrogativi. C’è anche una certezza, però: chi vorrà promuovere questa “svolta fossile” troverà molte resistenze. Certamente troverà Greenpeace sulla sua strada. E’ una promessa.

Andrea Boraschi - Responsabile campagna Energia e clima

 

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(Foto: Ansa.it)