L’uragano Sandy è sulle prime pagine di tutti i giornali e sul web, con una trattazione che, tacendo sulle sue vere cause, evidenzia l’imbarazzo di chi (negli Stati Uniti, ma anche in Italia) è complice del cambiamento climatico.
 
Negli ultimi mesi, oltre due milioni di persone hanno sottoscritto una petizione per difendere i ghiacci dell’Artico. Queste persone sanno che l’Artico è un elemento chiave nella regolazione del clima planetario. Sanno che le emissioni di gas serra sono da tempo correlate ai “disastri climatici” (lo sanno anche le società del ramo Assicurazioni…) e quindi per loro non sarà una sorpresa sapere che è probabile un collegamento tra lo scioglimento dell’Artico e Sandy.

Alcuni scienziati, infatti, ritengono  che la rotta anomala (ormai sempre più frequente) di queste tempeste tropicali sia dovuta a una specie di “diga” di alta pressione dovuta a una stasi delle correnti a getto che si sono indebolite per la riduzione della differenza delle temperature tra l’Artico e le aree più a sud. In ottobre, le tempeste tropicali normalmente si dirigono verso l’Atlantico nord-est e si “scaricano” in mare. Nel caso di Sandy, una grande cupola di alta pressione ferma tra Canada e Groenlandia gli ha sbarrato la strada, dirottando la tempesta sulla costa orientale Usa.

Poiché il clima è una cosa complicata, le disgrazie non vengono mai da sole. Ad esempio, diversamente da quel che pensiamo, il “livello” del mare non è uguale dappertutto: correnti marine, salinità e altro determinano veri e propri dislivelli e anche… differenze nel tasso d’innalzamento del livello del mare. Se l’innalzamento di tale livello (ovviamente causato dal riscaldamento globale) è, in media, di 0,6-1,0 mm/anno (dati registrati dal 1990), lungo la fascia costiera orientale Usa (600 miglia, da Capo Hatteras a nord di Boston) l’incremento è stato di 2-3,7 mm/anno  (Fonte US Geological Survey).

Un altro fattore in gioco è l’energia extra (calore in eccesso: indovinate la causa?) che si “immagazzina” nel mare visto che l’acqua è un magnifico accumulatore di calore. Anche un piccolo incremento delle temperature dell’oceano ha i suoi effetti potenzialmente disastrosi. La stima è che le temperature superficiali siano aumentate, dagli anni ’50, di 0,5-0,7°C, con un aumento del vapore acqueo nell’aria sugli oceani del 4% (dagli anni ’70) e con un prevedibile effetto di aumento delle piogge causate dagli uragani stimato in c.a. l’8%. A settembre si è registrato il secondo record di sempre per le temperature degli oceani (da quando le registriamo) e l’Atlantico centrale aveva temperature di 1,3°C sopra la media. Quello che serve per creare un “mostro climatico”.

Si potrebbe quindi pensare che l’imminente competizione elettorale negli Stati Uniti abbia avuto al centro temi di questa portata: niente di più falso, visto che nei dibattiti elettorali la parola “clima” non è mai stata pronunciata. A dire il vero, si poteva anche pensare che un miliardo di danni (sulla sola produzione agricola!) causati dalla siccità di quest’estate in Italia avrebbe causato una pronta reazione del nostro “governo tecnico”, che potrebbe spingere su rinnovabili ed efficienza energetica e lasciar perdere carbone e trivelle. Niente di più falso: per quel che riguarda il petrolio (a terra e in mare) il governo vuol fare dell’Italia un nuovo Texas e ci sono progetti per aumentare l’uso del carbone e, con essi, il contributo nazionale al disastro climatico. Complimenti!

Andrea Boraschi, responsabile campagna Energia e Clima