Correre è il primo divertimento di un bambino. È liberatorio, è una ventata di ottimismo. Correre ti permette di superare i tuoi limiti contando solo su te stesso.Ti mostra la sofferenza necessaria per raggiungere un traguardo.

E quale traguardo può essere più ambizioso della libertà?

Ecco, allora, l'idea di correre per lanciare un messaggio di solidarietà per i trenta attivisti di Greenpeace, prima detenuti per due mesi in Russia e poi rilasciati su cauzione, in attesa di un processo per il quale rischiano fino a sette anni di carcere.
Stavolta la mia partecipazione alla maratona di Firenze è stata diversa. Non solo per il fatto di correrne solo una parte, gli ultimi dodici chilometri, oltre a un piccolo tratto dopo la partenza, ma anche perché non si è trattato solo di concentrarsi sui propri battiti, sui propri respiri e sul rumore dei propri passi, unito a quello di altri undicimila atleti. 
Stavolta non c'era solo da osservare l'atmosfera, leggere gli slogan, guardare il pubblico, battere le mani ai bambini, farsi galvanizzare dalle bande musicali, controllare il passo medio e il tempo sul gps, verificare quanto vicino fosse l'obiettivo cronometrico.
Stavolta il pubblico che incitava, mentre l'aria non eccessivamente fredda sbatteva sulla faccia, era come una spinta ad andare più forte in nome e per conto degli Arctic30. 
L'obiettivo era mostrare agli altri atleti, al pubblico, agli smartphone, ai tablet, alle fotocamere e alle telecamere delle tv, quindi al mondo, un messaggio di libertà per gli attivisti e di salvezza per l'Artico e il suo ecosistema, minacciato dai cambiamenti climatici causati dalle compagnie petrolifere.

Stavolta ho corso per il sorriso di Camila, per la forza d’animo di Cristian, per la dignità di Colin, per la determinazione del capitano Peter, per tutti quegli uomini e quelle donne coraggiosi che sono partiti senza alcuna esitazione per andare a difendere l’Artico e lo rifarebbero anche domani. Come tutti quelli che credono negli stessi ideali e hanno la loro stessa passione. Ho corso insieme agli altri volontari del gruppo locale: eravamo in tanti e ognuno aveva un compito da assolvere per la riuscita dell'attività.
Stavolta ho vissuto la gara in un modo completamente diverso dalle altre. Mi sentivo parte di un progetto coinvolgente, sentito e toccante, che riguardava non tanto me quanto due milioni e mezzo di voci che hanno dato sostegno agli attivisti. Correvo per un'associazione a cui ho dedicato tempo e anima e correvo per gli ideali e la passione che sento rappresentati da Greenpeace.
Così le emozioni e i brividi non li ho provati per l'atmosfera o lo svolgimento della gara, ma per gli incitamenti delle persone che ripetevano a voce sempre più alta le parole che portavo addosso. 
Quelle persone che leggevano ad alta voce “Save the Arctic” sul berretto da orso costruito la sera prima oppure sulla maglietta blu che indossavo.  Le persone che urlavano: “Bravo!” per lo stesso motivo.
Quelle persone che leggevano il cartello “Colpevole di Pacifismo - Greenpeace”, che mi è stato passato prima della Biblioteca Nazionale e con il quale ho corso l'ultimo chilometro, lentamente,  per centellinare ogni singola emozione e rendere partecipe del messaggio quanta più gente possibile.  Quelle persone che durante la gara mi superavano e dicevano:”Dai che lo salviamo questo Artico!”
Quei brividi, che non si vedranno in nessuna foto e nessun video, mi hanno fatto dimenticare la tensione della preparazione. Quei brividi sono il premio per una settimana di passione, come il viaggio della gara lo è rispetto ai sacrifici fatti per allenarsi. 
Quei brividi danno forza a ogni speranza e portano con sé la consapevolezza che ogni singola azione, ogni nuovo volontario, ogni battito di cuore dietro a un banner di Greenpeace è un passo in più verso un mondo migliore e in un mondo migliore gli Arctic30 sarebbero definitivamente liberi."

Riccardo Ricci  - Tra i coordinatori del Gruppo Locale di Firenze

mercoledì 4 dicembre 2013