La Rainbow Warrior in navigazione verso il Giappone
Dopo essere partiti da Taiwan lo scorso giovedì, e una settimana di navigazione per raggiungere le coste del Giappone, ci troviamo adesso quasi fermi al largo di Tokyo. Nonostante sia ormai tutto pronto per iniziare i campionamenti in mare, purtroppo non possiamo andare avanti con il nostro piano di monitoraggio. Da un lato
il governo giapponese, che non ci ha concesso il permesso di svolgere ricerche entro le 12 miglia, dall’altro
il mal tempo in arrivo che, per ragioni di sicurezza, non ci permette di proseguire verso Fukushima.
Mi spiega Jacob, esperto di radiazioni e responsabile della nostra sicurezza a bordo, che dobbiamo monitorare attentamente le condizioni metereologiche. Non possiamo rischiare di avvicinarci alla zona di Fukushima con venti contrari o pioggia in quanto saremmo maggiormente esposti al rischio di radiazioni. Un mare in tempesta poi non faciliterebbe certo il nostro lavoro di campionamento. Insomma, per quanto sia frustrante non c’è nient’altro che possiamo fare se non aspettare che il mal tempo passi. Daniel, il capitano, che ci è seduto al lato, mi guarda e annuisce “prima di tutto la sicurezza dell’equipaggio”.
Altro ostacolo: il governo giapponese. Appena iniziato il nostro viaggio, infatti, avevamo informato il Giappone del nostro arrivo, chiedendo ufficialmente il permesso di svolgere dei campionamenti, e sottoponendo loro un dettagliato piano di ricerca. Purtroppo la risposta è stata negativa. Non ci permettono di entrare nelle loro acque territoriali, limitando di molto il nostro lavoro: non potremo raccogliere dati importanti in aree costiere al nord e al sud di Fukushima, dove a guardare l’andamento delle correnti c’è il rischio che siano arrivate le acque radioattive fuoriuscite dalla centrale.
“Ibaraki è la prefettura che si trova a sud di Fukushima - mi racconta Sakyo, attivista giapponese - e vive principalmente del mare. Moltissimi sono i pescatori così come gli allevamenti di frutti di mare e le fattorie di alghe. Proprio in questa stagione inizia la raccolta delle pregiatissime vongole giapponesi. Purtroppo in questo momento la popolazione non sa cosa fare. Non ci sono dati certi sulla contaminazione di questi organismi, anche se si sa che le alghe accumulano molto iodio, e quindi potenzialmente potrebbero concentrare sostanze radioattive, così come i molluschi filtratori”.
“Il dramma - continua Sakyo - è che nessuno ci informa, non ci è stato detto cosa possiamo o non possiamo mangiare, nessun tipo di misura preventiva o di protocollo è stato messo in atto. Il governo ha solo proibito la pesca nell’area di Fujkushima, ma anche tutta la costa più a sud potrebbe essere contaminata”. Si ferma un attimo a guardarmi negli occhi e conclude “E’ per questo che il nostro lavoro è così importante. Anche se adesso sembra che tutto ci stia remando contro non dobbiamo dimenticarci di perché siamo qui. E avere solo un po’ di pazienza”.
Lo lascio e salgo sul ponte. Mi sento particolarmente toccata dalle sue parole….e anche un po’ in colpa. Questi ultimi due giorni sono stati davvero difficili qui sulla nave. L’attesa, la delusione, e poi la frustrazione di dover rimanere ancora in attesa mi hanno in certi momenti fatto perdere l’entusiasmo.
Di certo però non mi sono dimenticata perché sono qui. Corro sotto coperta e mi rimetto a lavorare alla ricerca sulla fauna ittica dell’area. Mentre i nostri colleghi in Giappone stanno cercando di farci concedere un permesso di ricerca più ampio e farci entrare a Tokyo, io dalla nave cerco di rendermi utile come posso.
Giorgia Monti, campaigner Mare di Greenpeace Italia