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Una guida ai consumi ittici

News - 17 luglio, 2008
Greenpeace lancia la "Guida ai consumi ittici". Per sapere quali pesci non bisogna comprare e quali - con le dovute attenzioni - si "possono" mangiare. Nella "lista rossa" finiscono il tonno pinna gialla, il tonno rosso, il pesce spada, il merluzzo (importato come baccalà o stoccafisso) e i gamberoni tropicali. Date le condizioni generali della produzione ittica, non è possibile stilare una vera e propria "lista verde". Esistono, però, una serie di principi da rispettare per un consumo più sostenibile.

Greenpeace propone l'istituzione di un network internazionale di riserve marine, per tutelare la biodiversità degli ecosistemi del mare e mitigare gli impatti del cambiamento climatico.

Per tonni, pesce spada e merluzzo il problema principale è lo stato disastroso delle risorse, peggiorato ulteriormente dalla pesca pirata. I gamberoni tropicali, invece, provengono da pratiche di acquacoltura che danneggiano la fascia costiera intertropicale, cui si associano gravi violazioni dei diritti umani. Anche per le specie nella "lista rossa" esistono, però, eccezioni che devono essere sostenute, come ad esempio la pesca tradizionale al tonno rosso delle tonnare fisse.

Purtroppo gran parte del prodotto ittico nazionale deriva dalla pesca a strascico o dall' acquacoltura. Nel mondo "reale" non esiste il bianco e il nero: non tutta la pesca a strascico ha lo stesso livello di impatto, anche se si tratta di un sistema di pesca generalmente distruttivo, e non tutta l'acquacoltura è sostenibile.

Per orientarsi verso scelte più sostenibili, le linee guida sono:

1. Chiedere sempre informazioni sul prodotto (es. se proviene da strascico o pesca artigianale)

2. Orientarsi sul pesce azzurro (alici, sardine, sgombri) e sulle cozze (debitamente certificate per la stabulazione)

3. Evitare sempre pesce sotto taglia

4. Per orate e spigole di acquicoltura preferire i prodotti italiani (costano di più ma la qualità è superiore e, di solito, gli impatti inferiori)

La regola fondamentale è quella di informarsi: abbiamo il diritto-dovere di sapere cosa compriamo e a quali costi ambientali e sociali. Con la loro pressione i consumatori possono modificare i processi produttivi a favore della sostenibilità.

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