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I ghiacci si sciolgono

Pagina - 14 gennaio, 2011
La fusione globale dei ghiacci è un segnale precoce ed evidente di cambiamento climatico, ma le sue implicazioni vanno ben oltre la semplice perdita di neve e ghiaccio.

Per cominciare, miliardi di persone, in molte regioni del Pianeta, dipendono dai ghiacciai per ottenere acqua necessaria ai loro usi. Alcune popolazioni, e specie animali, hanno adattato le proprie abitudini a un ecosistema come quello formato dal ghiaccio marino. Inoltre, neve e ghiaccio riflettono più luce solare rispetto alla terra nuda o all’acqua: il che significa che una minore superficie bianca porterà a un maggiore riscaldamento (che causerà a sua volta la fusione di ancora più ghiaccio, innescando un circolo vizioso). Infine, lo scioglimento del ghiaccio terrestre può provocare – anzi sta già provocando – una crescita del livello del mare.

Da quest’ultimo punto di vista, sotto osservazione – oltre ai ghiacciai di montagna – sono soprattutto le distese glaciali di Antartide e Groenlandia. La prima è la maggiore per estensione, ma è proprio la calotta groenlandese a essere la più minacciata: già oggi, lo scioglimento dei ghiacciai in Groenlandia è responsabile del 25 per cento dell’innalzamento del livello dei mari (e il suo contributo potrebbe aumentare).

Fino a pochi anni fa, invece, si credeva che la calotta glaciale dell’Antartico occidentale fosse stabile, ma alcune inattese rotture della piattaforma hanno fatto ritornare sui propri passi gli scienziati. Nel 2002, per esempio, la piattaforma glaciale Larsen B, del peso di 500 miliardi di tonnellate, che copriva un’area pari a due volte le dimensioni di Londra e della sua periferia, si è disintegrata in meno di un mese. Nel 2005, la British Antarctic Survey ha pubblicato una ricerca secondo la quale l’87 per cento dei ghiacciai della Penisola Antartica si è ritirato nel corso degli ultimi cinquant’anni.

Quanto ai ghiacciai di montagna, la ritirata è generale. Che si parli della Cordigliera delle Ande o delle Montagne rocciose, dell’Himalaya o dell’Alaska, la regressione è costante e documentata. Nelle Alpi, per esempio, la fusione dei ghiacciai, iniziata già a fine Ottocento, ha accelerato a partire dal 1980, mandando in fumo circa il 20 per cento della superficie in soli tre decenni: secondo recenti ricerche, la riduzione di volume sarà del 50 per cento entro il 2025 e del 90 per cento entro il 2100.

Negli Stati Uniti, invece, dovrà presto cambiare nome il Glacier Parc, istituito nel 1910 in Montana: più di due terzi dei suoi ghiacciai e circa il 75 per cento della calotta complessiva sono già scomparsi. E segnato sembra anche il destino dei ghiacciai tropicali. Le nevi del Kilimanjaro (unico ghiacciaio africano), per esempio, hanno perso l’80 per cento della loro area e, nonostante siano sopravvissute ai diecimila anni di fase interglaciale, è probabile che scompaiano entro il 2020.

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