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La ricerca sul clima

Pagina - 14 gennaio, 2011
La scienza del clima studia da tempo l’effetto serra e il suo ruolo nel sistema climatico terrestre. Il primo a descrivere la proprietà dell’atmosfera di trattenere il calore è stato, nel 1824, lo scienziato francese Joseph Fourier. Una descrizione completata, a metà Ottocento, dalla scoperta dei gas serra, da parte dello scozzese John Tyndall. Già Fourier e Tyndall intuiscono che le attività umane possono modificare l’atmosfera, e quindi alterare l’effetto serra. Ma è lo svedese Svante Arrhenius, alla fine del Diciannovesimo secolo, a sistematizzare la teoria, con un’importante ricerca sull’inflluenza dell’anidride carbonica sulle temperature terrestri.

Oggi, la climatologia ha confermato le intuizioni e gli studi di Fourier, Tyndall e Arrhenius, spiegando il funzionamento dell’effetto serra, e il ruolo dell’anidride carbonica e degli altri gas serra. Inoltre, gli scienziati hanno trovato il modo di misurare le temperature a livello globale, di monitorare la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera e di ricostruire il clima del passato (una ricerca detta “paleoclimatica”). Per fare tutto ciò, è stato necessario raccogliere dati da tutto il mondo e sviluppare diverse tecnologie necessarie all’analisi di tali dati. Su queste basi, gli scienziati provano, con crescente affidabilità, a immaginare gli scenari climatici del futuro.

Misurare la temperatura della Terra
Per un quadro accurato della temperatura della Terra, sono necessarie misurazioni effettuate in ogni angolo del globo perché non tutto il pianeta si riscalda allo stesso ritmo. Da queste misure emerge chiaramente l’aumento della temperatura globale (intesa come media delle temperature dell’aria sopra il suolo terrestre e della superficie dei mari). Una crescita non uniforme, bensì maggiore nell’emisfero settentrionale e sulla superficie terrestre, minore al sud e sugli oceani, più accentuata di notte e meno di giorno, più significativa ai poli che all’equatore. Gran parte del riscaldamento si è prodotto in due periodi: dal 1910 al 1945 e dal 1976 a oggi.

Monitorare l’anidride carbonica
Quanta anidride carbonica c’è in atmosfera? A lungo la conoscenza di questo importante dato è stata affidata a misurazioni sparse e a stime più o meno attendibili. Dal 1958, però, la Scripps Institution of Oceanography di San Diego (California) ha iniziato a rilevare la concentrazione di CO2 atmosferica presso un osservatorio creato a Mauna Loa, la più grande isola delle Hawaii. Grazie a Mauna Loa (e a una serie di misurazioni parallele), è stato possibile ricostruire la concentrazione dell’anidride carbonica in atmosfera nel corso degli ultimi duecento anni: dalle 290 parti per milione di fine Settecento alle 393 attuali, una crescita totale del 25 per cento.

Le cause di questo aumento sono in parte naturali (eruzioni vulcaniche, vasti incendi nelle regioni tropicali) e in parte no (uso di combustibili fossili, deforestazione). E la scansione temporale del fenomeno porta a collegarlo con la Rivoluzione industriale e con alcune sue conseguenze, come l’esplosione della popolazione mondiale e dei consumi.

Ricostruire il clima del passato

Gli scienziati hanno messo a punto tecniche per ricostruire il clima del periodo che precede l’introduzione degli strumenti moderni. È una scienza chiamata paleoclimatologia, il cui denominatore comune è il ricorso a indicatori “alternativi”: alcuni usano sedimenti corallini e sondaggi nella crosta terrestre; altri “interrogano” ghiacci polari, documenti storici o anelli di crescita degli alberi; altri ancora incrociano tutte queste fonti insieme. Pur utilizzando metodi e indicatori diversi, le principali ricerche paleoclimatiche convergono nel rilevare che lo scorso secolo è il più caldo probabilmente da centinaia di migliaia di anni a questa parte, e che il riscaldamento è particolarmente accentuato dopo il 1920.

Prevedere il futuro climatico
Il compito di prevedere il clima del futuro è affidato soprattutto alle simulazioni con i computer. La nascita dell’informatica è stata fondamentale per la scienza del tempo. Ma i modelli usati per prevedere il clima non sono la stessa cosa di quelli meteorologici. Questi ultimi, infatti, mirano a simulare l’evoluzione a breve termine (ore, giorni) delle condizioni atmosferiche: grazie al limitato obiettivo, la risoluzione è abbastanza fine. Al contrario, i modelli di circolazione generale – come vengono chiamati – hanno la presunzione di descrivere il comportamento del sistema climatico su scale di tempo lunghissime. Decine, centinaia, migliaia di anni: in linea di principio non ci sono limiti. In pratica, si tratta di previsioni molto difficili. Anche se è ancora da creare un modello dove la risposta alla crescita della CO2 in atmosfera non sia un aumento delle temperature terrestri…

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