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Biocarburanti

Pagina - 22 novembre, 2016

L’olio di palma è utilizzato per diverse finalità, anche non alimentari, tra cui la produzione di biocombustibile. Rispetto all’uso alimentare o cosmetico, la produzione di biocombustibili necessita di quantitativi molto maggiori di questa materia prima, con conseguenze potenzialmente ancor più devastanti per l’ambiente. 

Le monocolture di oleaginose destinate alla produzione di biodiesel possono sostituire, direttamente o indirettamente, habitat forestali, torbiere e altri ecosistemi ricchi di carbonio, comportando un ulteriore aumento delle emissioni di gas serra prodotte dalla degradazione di estese aree verdi. Inoltre, la produzione di biocarburanti può coinvolgere terreni già destinati all’uso agricolo, trasferendo altrove la produzione di alimenti, affinché si possa continuare a soddisfare la domanda di cibo. Questo fenomeno è conosciuto come “cambio d’uso del suolo” e finora non è stato adeguatamente preso in considerazione nel calcolo delle emissioni di CO2.

Uno studio dell’agosto 2015 commissionato dalla Commissione Europea, infatti, indica che il biodiesel prodotto con olio di palma, colza e/o soia rilascia emissioni legate al cambio d’uso del suolo che superano le emissioni dell’intero ciclo di vita del gasolio di origine fossile. Un’ulteriore analisi della European Federation for Transport and Environment ha confermato che i biocarburanti di prima generazione (biodiesel) producono emissioni superiori a quelle del gasolio di origine fossile. La soia, ad esempio, produce il doppio delle emissioni rispetto al gasolio fossile, mentre l’olio di palma ne produce il triplo.

A livello internazionale si è acceso un forte dibattito sulla sostenibilità della produzione di alcuni tipi di biocarburanti che, inducendo al cambio diretto e indiretto d’uso del suolo, minacciano biodiversità, sicurezza alimentare e accesso alla terra delle popolazioni indigene. E, nel bilancio della propria produzione, rimangono emettitori netti.

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