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Pesca pirata

Pagina - 3 gennaio, 2011
Ci sono ancora dei pirati che solcano i mari, ma non sono come quelli dei libri d'avventura o dei film. I pirati di oggi non cercano vascelli da abbordare, ma i facili guadagni che si possono realizzare sfruttando gli stock di pesce in esaurimento e derubando le popolazioni costiere più deboli.

La pesca pirata – anche conosciuta come pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata (INN) – sta flagellando gli oceani di tutto il mondo.

I pirati dei mari si spostano da una zona di pesca all'altra, dalle coste dell’Africa alle isole del Sud del Pacifico, cercando di imbarcare a bordo quanto più pesce possibile. Non hanno scrupoli. Non si preoccupano dell'impatto che la loro attività di pesca ha sull'equilibrio degli ecosistemi marini. Pesci, uccelli marini, cetacei, squali, tartarughe di mare: sono tante le specie che rischiano a volte anche

E se gli ecosistemi marini soffrono, ne risentono anche le comunità costiere che da quegli ecosistemi dipendono per l'approvvigionamento delle risorse alimentari. Si stima ad esempio che la Guinea, una piccola nazione dell'Africa Occidentale, perda ogni anno 100 milioni di dollari a causa dei vascelli pirata che pescano di frodo nelle sue acque territoriali. Nel mondo si perdono oltre 4 miliardi di dollari ogni anno a causa della pesca pirata.

La pesca pirata ha caratteristiche differenti nelle diverse regioni del mondo. Sfruttando le scappatoie e le lacune delle normative vigenti, proprietari di pescherecci e compagnie senza scrupoli, spesso in combutta con alcune nazioni, usano "bandiere di comodo" per eludere non solo i regolamenti internazionali, ma anche le norme sulla sicurezza e i diritti dei lavoratori. I pirati di oggi nascondono la propria identità e origine, ignorano le regole, sbarcano pesce pescato illegalmente, mescolandolo a catture legali.

Un mare di... buoni propositi

I Governi del Pianeta sono, a parole, molto sensibili al problema della pesca pirata e pronti a intervenire. Ma in concreto ben poco è stato fatto fino a oggi. Negli ultimi anni, Greenpeace ha documentato attività di pesca pirata in tutto il mondo. Ha mostrato, ad esempio, come nel Mediterraneo continui, a dispetto dei divieti vigenti, la vergogna delle spadare o della pesca illegale al tonno rosso. Nonostante gli impegni presi e le promesse fatte dalla politica, i predoni del mare continuano a violare ogni legge internazionale e a pescare impunemente dove non ci sono regole.

Non è poi così difficile eliminare la pesca pirata. I Governi, sia singolarmente che nell'ambito degli organismi della cooperazione internazionale, possono fermare la pesca pirata. Come? Dichiarando fuorilegge “le bandiere di comodo”, l'impiego di sistemi di pesca distruttivi come lo strascico d'altura o rifiutando l’entrata nei propri porti o aree di pesca a pescherecci incriminati. Si tratta di dimostrare una volontà politica a far rispettare le regole che già ci sono, aumentando i controlli e mettendo sanzioni più severe.

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