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Marea rossa: irresponsabile riaprire impianto in Ungheria. Preoccupante il deposito in Sardegna

Comunicato stampa - 15 ottobre, 2010
Roma, Italia — Greenpeace ritiene un atto irresponsabile la riapertura dell’impianto di alluminio della Mal ad Ajka, nell'Ovest dell'Ungheria. L’associazione ambientalista chiede al governo ungherese di non riattivare gli stabilimenti fino a quando una Commissione internazionale di esperti indipendenti non ne abbia verificato la sicurezza.

Fanghi tossici in Ungheria.

Solo dieci giorni fa, tonnellate di fanghi tossici si riversavano nell’ambiente, contaminando 40 chilometri quadrati e togliendo all’agricoltura ben 4.000 ettari di terreno. La marea rossa che ha sparso cinquanta tonnellate di arsenico, oltre a mercurio e cromo ad alti livelli, ha causato la morte di 9 persone e il ferimento di centinaia di altre, oltre a un danno irreparabile all’ecosistema del fiume Marcal, decretato “fiume morto”. Questi i primi bilanci ambientali e sanitari, ma non è finita.

«Ancora non si conoscono le vere cause del disastro – afferma Vittoria Polidori, responsabile campagna Inquinamento di Greenpeace - e il rischio di danni alla salute è tutt’altro che irrisorio. Eppure le autorità hanno autorizzato il ritorno degli sfollati a Kolontar, uno dei due villaggi più devastati, ma con l’obbligo di indossare le mascherine contro la polvere. Un obbligo che conferma il rischio elevato per le popolazioni locali».

Mentre Greenpeace continua a tenere alta l’attenzione sul sito del disastro in Ungheria, si affaccia un nuovo potenziale allarme ma questa volta in casa nostra. A 200/300 metri dalla costa sud occidentale della Sardegna, esiste dal 1975 un deposito di fanghi rossi pericolosi di proprietà dell’Euroallumina, società italiana acquistata nel 2008 dalla russa Rusal (leader mondiale nella produzione di alluminio), la cui manutenzione sembra lasciare a desiderare.

A parte la costruzione di mura perimetrali della mega vasca di contenimento, che oggi raccoglie ben 20 milioni di metri cubi di fanghi, il sito non sembra sia stato oggetto di grandi migliorie. Negli anni scorsi si sono registrati degli sversamenti dei fanghi anche nelle falde acquifere che hanno fatto mettere sotto sequestro l’impianto, oramai chiuso dal 2009. Nel tempo, infatti, il livello dei fanghi nella vasca è sceso di circa 11 metri (da 36 a 25 metri) e ciò lascia supporre perdite consistenti nell’ambiente.

«Non esiste un trattamento definitivo per mettere davvero in sicurezza questi fanghi, così come sono ancora in fase di sperimentazione le tecniche per il loro recupero. È fondamentale  - conclude Polidori - lavorare quindi sulla prevenzione di questi terribili disastri, adottando tecnologie all’avanguardia e una gestione attenta e corretta delle aree di stoccaggio».

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