A distanza di tre giorni dal lancio da parte di Greenpeace del rapporto “Altro che compost”, Biorepack e Assobioplastiche, le principali associazioni del settore, hanno acquistato spazi su alcuni quotidiani nazionali per provare a confutare quanto svelato nel report realizzato dall’Unità Investigativa dell’organizzazione ambientalista, ovvero che le plastiche compostabili spesso non possono essere smaltite dagli impianti italiani che trattano l’organico.

Greenpeace Italia risponde alle obiezioni mosse dalle due associazioni e precisa: «È doveroso ricordare come la nostra inchiesta si basi sulle testimonianze di personalità accademiche che collaborano con prestigiose università italiane, di professionalità tecniche del settore e dei laboratori coinvolti nel rilascio delle certificazioni sulla compostabilità. Evidentemente, durante la lettura superficiale fatta da Assobioplastiche e Biorepack, è sfuggita la pluralità di competenze scientifiche che caratterizza l’inchiesta». 

Per esempio, Greenpeace Italia fa notare come le criticità evidenziate nel rapporto sul conferimento di manufatti in plastica compostabile a fine vita nel resto d’Europa si basino su quanto dichiarato all’Unità Investigativa dall’organizzazione da esperti dell’European Compost Network (ECN). Per assicurare la pluralità delle voci, l’inchiesta include tra gli intervistati anche Carmine Pagnozzi, direttore tecnico di Biorepack. 


Inoltre, Assobioplastiche e Biorepack contestano a Greenpeace Italia di non menzionare la questione shopper. Ebbene, da quanto emerge dall’inchiesta, gli shopper non rientrano tra i manufatti con problemi di degradazione negli impianti; problematica che, in base alle testimonianze raccolte, interessa i manufatti e imballaggi rigidi. L’organizzazione ambientalista riconosce la bontà della legge sugli shoppers, proprio perché non prevede la sostituzione uno a uno. Al contrario, con le deroghe ed esenzioni inserite nel recepimento della direttiva europea sulle plastiche monouso (SUP) per i prodotti messi al bando (stovigliame), Greenpeace ravvisa un concreto rischio derivante dalla semplice e massiva sostituzione dei materiali. Si tratta delle stesse perplessità condivise dall’Europa nel parere circostanziato inviato al nostro governo nei mesi scorsi e che espone l’Italia al rischio di una procedura d’infrazione. 

Greenpeace Italia, infine, sottolinea come l’indagine abbia lo scopo di fare chiarezza sulle plastiche compostabili per preservare un’eccellenza italiana: quella della raccolta dei rifiuti organici che, nel pieno rispetto dell’economia circolare, ci consente di chiudere il cerchio per quel che riguarda la frazione umida.

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