Attivisti di Greenpeace hanno fatto volare questa mattina una tartaruga gigante nei pressi del quartier generale delle Nazioni Unite, a New York, dove – per la prima volta nella storia – gli Stati membri si stanno riunendo per definire un accordo globale per la tutela degli oceani al di fuori dei confini nazionali. Questi negoziati sono il risultato di un processo durato dieci anni e che potrebbe concludersi già nel 2020. In contemporanea, gli attivisti hanno aperto uno striscione con la scritta: “I nostri oceani hanno bisogno di un trattato globale”.

«In questo momento, il destino dei nostri oceani è nelle mani di ogni governo coinvolto in questi negoziati», dichiara Sandra Schoettner, responsabile della campagna di Greenpeace per la creazione di santuari marini. «Non è un’esagerazione dire che nel Palazzo Di Vetro si sta facendo la storia, è urgente che si crei un trattato che permetta di realizzare una rete globale di santuari marini».

Questo accordo sugli oceani è cruciale poiché le leggi che attualmente tutelano le acque al di fuori delle giurisdizioni nazionali sono estremamente frammentate, inadeguate e concentrate principalmente sul diritto a sfruttare risorse, piuttosto che sul dovere di proteggerle. Lo stesso Mediterraneo è spesso soggetto ad attività distruttive per la mancata volontà dei governi costieri di sviluppare reali misure di tutela in zone internazionali di mare. In assenza di un accordo globale, solo l’1 per cento degli oceani è ad oggi protetto. Come conseguenza, mari e oceani sono ridotti allo stremo a causa di pesca eccessiva, inquinamento, cambiamenti climatici e altre attività umane.

«La superficie dell’oceano che si estende oltre i confini nazionali rappresenta quasi la metà del nostro Pianeta», continua Schoettner. «Gli oceani appartengono a tutti noi, ma se non agiamo immediatamente per proteggerli perderemo habitat e specie animali fondamentali, spesso prima ancora di aver avuto l’opportunità di conoscerle. Per i leader mondiali è questo il momento di mostrare di voler davvero raggiungere l’imperativo scientifico di proteggere almeno il 30 percento dei nostri oceani entro il 2030. Un risultato che può essere raggiunto unicamente con un trattato globale che da un lato protegga realmente queste acque, e dall’altro permetta di creare una rete globale di santuari marini», conclude.