Plastica, emergenza fuori controllo!

La crisi energetica globale ci ha messi di fronte al problema della scarsità delle materie prime, ed è sempre più chiaro che è necessario ripensare ai modelli di business e consumo sfrenati della nostra società. L’abuso di plastica usa e getta, quell’insieme di imballaggi e contenitori progettati per diventare in poco tempo un rifiuto difficile da riciclare, è una delle e assurdità più conclamate del sistema attuale. È peraltro tra le concause di una delle emergenze ambientali più gravi dei nostri tempi: l’inquinamento da plastica. Nonostante abbiamo sempre più prove sulla gravità del fenomeno, mancano interventi risolutivi sia a livello politico che industriale.

Per raccontare le varie problematiche connesse al business della plastica, gli impatti sempre più gravi sull’ambiente e l’inerzia delle aziende e dei governi, Greenpeace Italia e il Fatto Quotidiano lanciano oggi “Carrelli di plastica”. Una serie di inchieste e approfondimenti che nelle prossime settimane proverà a far conoscere meglio questa emergenza fuori controllo, destinata addirittura a peggiorare se non saranno adottate serie politiche per contrastare l’inquinamento e ridurre la produzione.

Nel nostro rapporto “Plastica: emergenza fuori controllo”, diffuso oggi, passiamo inoltre in rassegna le conseguenze di un modello produttivo che ha mostrato tutti i suoi limiti.

Aziende e governi hanno infatti finora fallito nell’affrontare concretamente la crisi ambientale dovuta all’inquinamento da plastica. La risoluzione approvata dalle Nazioni Unite, che avvia i lavori per un trattato globale legalmente vincolante e che si occupi dei problemi legati all’intero ciclo di vita, è però un buon segno. Ci auguriamo che si giunga a un trattato sulla plastica con chiare indicazioni sulla riduzione della produzione, a partire dalla frazione monouso, che venga affrontato il problema legato alle migliaia di sostanze chimiche usate per produrla, alcune delle quali cancerogene o con conseguenze negative sul sistema endocrino e ormonale. È necessario tenere in debita considerazione i problemi di giustizia sociale e ambientale.

A partire dagli anni Cinquanta la produzione di materie plastiche cresce senza sosta e, secondo le stime più accreditate, raddoppierà i volumi del 2015 entro il 2030-2035 per triplicarli entro il 2050. In base alle proiezioni la quantità di rifiuti dispersa ogni anno nei mari passerebbe da 8 a circa 29 milioni di tonnellate, nel 2040. Ad aggravare l’inquinamento contribuisce in modo preponderante la frazione monouso, circa il 40% della produzione globale, di gran lunga la più abbondante nell’ambiente. Il sistema di riciclo, da sempre indicato da aziende e governi come principale soluzione, ha mostrato tutti i suoi limiti: di tutta la plastica prodotta nella storia umana solo il 10 per cento è stato correttamente riciclato, il 14% è stato bruciato mentre il restante 76% è finito in discariche già stracolme o disperso nell’ambiente.

L’enorme produzione di rifiuti di plastica non riciclabili, ha generato inoltre un gigantesco traffico internazionale di rifiuti che coinvolge numerose nazioni del Sud del mondo, non dotate di adeguata impiantistica, diventate le discariche della spazzatura occidentale. Considerando che il 99% della plastica deriva da petrolio e gas fossile, il rapporto svela il suo contributo al cambiamento climatico. Oggi, considerando l’intero ciclo di vita, il settore della plastica sarebbe il quinto/sesto stato per emissioni di gas serra. Se le stime di crescita della produzione dovessero essere confermate, diverrebbe il terzo stato per emissioni entro il 2050! Si tratta dei decenni in cui, secondo l’IPCC, dovremmo invece dimezzare le emissioni antropiche per contenere il riscaldamento globale entro 1,5°C.

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