Il greenwashing è uno dei fenomeni più subdoli e pericolosi del nostro tempo. È quella “pennellata di verde” che permette alle aziende inquinanti di fingersi green e nascondere il proprio impatto ambientale. Per imparare a riconoscerlo ed evitarlo, abbiamo chiesto dei consigli alle esperte e agli esperti di “Voci per il clima”: una rete indipendente di più di 100 personalità con diverse competenze impegnate in prima linea contro il greenwashing e la disinformazione sul clima.

La divulgatrice e imprenditrice sostenibile Camilla Mendini, in arte @carotilla_, ci guida nel mondo del greenwashing dei prodotti cosmetici.

Ciao Camilla, grazie per la tua disponibilità. Ci spieghi cos’è e come funziona il greenwashing nel settore dei cosmetici?

Quando si parla di greenwashing nel settore della cosmetica facciamo riferimento a quei claim di sostenibilità che però sono generici, non verificabili e anche non veritieri. Questi claim possono riguardare gli ingredienti: il fatto che siano di origine naturale, ad esempio, non vuol dire automaticamente che il prodotto sia ecologico o migliore. Il greenwashing può riguardare anche il packaging, definito sostenibile perché magari ha della “plastica riciclabile”, nemmeno della plastica riciclata, oppure solo una piccola percentuale di plastica riciclata all’interno. È il caso, ad esempio, di alcune creme solari che dicono di avere il tubetto ecologico con carta e meno plastica, il cui colore ricorda quello della plastica riciclata, ma che poi va buttato nell’indifferenziata in Italia perché impossibile – per adesso – da riciclare e da separare manualmente. 

Altre volte, invece, viene associata un’immagine e una iconografia che richiama foglie, fiori, si usa molto il verde, perché a livello percettivo abbiamo la sensazione che il prodotto sia più sano, migliore, più delicato o comunque più sostenibile. Il che non è un male di per sé, ma se l’immagine non corrisponde a scelte effettive di sostenibilità, allora diventa ingannevole e fuorviante. Un altro tipo di greenwashing è credere che un INCI buono, “verde” voglia dire che il prodotto è sostenibile: l’INCI serve solo ad indicare a persone con allergie la presenza di sostanze allergizzanti. 

Molti marchi e prodotti ricorrono a queste scorciatoie, senza cambiare realmente il prodotto, ingannando i consumatori e prendendosi la fetta di mercato sempre più grande di quelli che cercano prodotti sostenibili. 

Come riconoscere un’azienda o un prodotto che fa greenwashing?

Prima di tutto bisogna capire cosa è veramente sostenibile a livello di produzione cosmetica. Per quanto riguarda gli ingredienti, se provengono da coltivazioni locali (ad esempio olio di oliva italiano invece che olio di palma) abbiamo già delle informazioni di tracciabilità e di filiera corta che ci fanno capire come un prodotto sia più sostenibile dell’altro.

Quando si parla di sostenibilità si parla anche di evitare l’uso di materiali come la mica, che viene spesso estratto in maniera illegale e sfruttando lavoro minorile nelle miniere. È utile controllare se ci sono certificazioni, come Ecocert, che ci indicano che ci sono stati dei controlli a livello di ingredienti, se questi sono sostenibili e tracciabili.

E poi controlliamo i claim sul packaging e capiamo come potrà essere riciclato, se riciclabile!

Come possiamo evitarlo e acquistare cosmetici davvero sostenibili?

Anche nella cosmetica esistono marchi che nascono con l’obiettivo di essere sostenibili e che quindi non hanno bisogno di fare greenwashing. Molto spesso sono piccole aziende che vendono online o in negozi dedicati a prodotti sostenibili e zero waste, per cui meno conosciuti. 

Tuttavia offrono prodotti in cui, spesso, gli ingredienti sono ottimi e i packaging sono o in carta riciclata (come per esempio i solidi) o sono ricaricabili, per cui basta solo comprare la ricarica quando finiscono. Si tratta quindi di vere alternative e non di scappatoie che ci fanno credere che stiamo facendo un acquisto sostenibile quando invece non è così.

Vuoi saperne di più sul greenwashing ed entrare in contatto con gli esperti e le esperte di “Voci per clima”?