Bob Hunter è uno dei più noti fondatori di Greenpeace. Rex Weyler condivide in questo scritto il suo personale ricordo di Bob, raccontando la filosofia del cambiamento sociale e le idee che ne hanno ispirato l’impegno ecologista.
La nuova coscienza ecologista
Anche se oggi è difficile da credere, tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta l’ecologia era ancora un’idea radicale. Non c’erano movimenti ecologisti come quelli odierni, né ministri dell’ambiente, e neppure corsi di ecologia a scuola o all’università.
Bob Hunter, giovane giornalista del Vancouver Sun, aveva partecipato alla prima campagna di Greenpeace (all’epoca il gruppo si chiamava ancora “The Don’t Make a Wave Committee”) per protestare contro i test nucleari statunitensi in Alaska. Adesso Greenpeace preparava una seconda campagna contro i test nucleari francesi. La scoperta che nei denti da latte dei bambini di tutto il mondo si trovavano tracce di stronzio-90, un elemento radioattivo prodotto nei test atomici, aveva avvicinato il movimento pacifista e quello ecologista.
Bob aveva già scritto di ecologia e cambiamento culturale nel saggio The Enemies of Anarchy (“I nemici dell’anarchia”). I “veri anarchici”, sosteneva, erano le élite militarizzate, che sfruttavano egoisticamente il Pianeta, ignorando le leggi della natura e devastando gli habitat naturali. I “nemici” di questa anarchia istituzionalizzata erano invece coloro che invocavano una nuova consapevolezza in grado di unire la pace e l’ecologia.
Bob sosteneva che il cambiamento non sarebbe arrivato dal processo politico, troppo lento e corrotto. La rivoluzione violenta “non porta a nulla, solo a un cambio della guardia”, scriveva. “La violenza ci distoglie dalla vera lotta, che serve a raggiungere un livello più alto di coscienza”. Leggendo Betty Friedan e le scrittrici femministe, Bob aveva capito che la nuova coscienza avrebbe avuto a che fare più con i sensi che con l’intelletto.
“L’ecologia è la vera questione“, diceva Bob. Secondo lui, questa nuova coscienza sarebbe nata dalla comprensione delle relazioni ecologiche. “In natura“, aveva scritto Bob citando Silent Spring di Rachel Carson , “niente esiste da solo”. I movimenti per la pace e per i diritti civili avevano finalmente riconosciuto che esiste un’unica famiglia umana, ma per Bob l’universalità non si fermava alla comunità umana: facevamo tutti parte di una ben più grande comunità ecologica. Inoltre, la rivoluzione di cui avevamo bisogno era anzitutto spirituale, perché la Terra è sacra e le nostre relazioni con tutte le creature della Terra sono relazioni sacre.
Nel novembre 1969, il fiume Cuyahoga, che attraversa Cleveland, in Ohio, prese fuoco a causa della massiccia presenza di inquinanti chimici e petroliferi. Ricordo che Bob, scuotendo la testa, disse: “I fiumi stanno bruciando. È un evento biblico. L’umanità non può permettersi di rimandare ancora una presa di coscienza”.
Fin dal nostro primo incontro, io e Bob concordammo sul fatto che la società globale aveva bisogno di un movimento ecologista, e abbiamo passato il decennio successivo a cercare di dare vita, insieme, a questo movimento.
Paul Shepard ha descritto l’ecologia come una “scienza sovversiva”. Una comprensione onesta dell’ecologia avrebbe infatti cambiato ogni cosa nelle società umane. La nostra arte, la psicologia, la politica, la scienza e il discorso pubblico. Scrittori come Carson, Shepard, Paul Ehrlich, Donella Meadows, Arne Naess, Gregory Bateson e altri sono stati i nostri mentori nelle lotte per il cambiamento. Qualcuno doveva fare in modo che accadesse, in fretta, su larga scala.
Bombe mentali
Quando incontrai Hunter, lui aveva appena scritto il suo secondo saggio, Storming of the Mind. Bob aveva letto gli studi del filosofo canadese Marshall McLuhan, secondo cui i media elettronici (all’epoca, la radio e la televisione) avevano trasformato il mondo in un “villaggio globale”, dove le persone potevano comunicare da regioni un tempo isolate, creando un “campo unificato di esperienza.” Ispirato da McLuhan, Hunter aveva iniziato a pensare ai media elettronici come a un sistema nervoso globale, un “sistema di consegna” delle idee.
Di conseguenza, affermava Bob, non era più necessario, né efficace, pensare alla rivoluzione come a una lotta armata. “La rivoluzione, oggi, è una lotta di comunicazione, una guerra di immagini. Invece di prendere d’assalto la Bastiglia”, scriveva, “stiamo prendendo d’assalto le menti di milioni di persone. Invece di lanciare proiettili e bombe, lanciamo bombe mentali, immagini rivoluzionarie che esploderanno nella testa delle persone”.
Per creare un movimento ecologista, dunque, avevamo bisogno di immagini che circolassero a livello globale, immagini capaci di ispirare le persone a riconoscere la loro fondamentale natura ecologica, il loro stretto legame con tutte le creature viventi della Terra.
Abbiamo organizzato azioni nei dintorni di Vancouver, bloccando gli scarichi di sostanze tossiche nel fiume Fraser e molto altro ancora. Ma la grande idea che avrebbe catturato la nostra immaginazione arrivò nel 1972 da un ricercatore che studiava i cetacei, il dottor Paul Spong: “Salvate le balene!”
Da quel giorno, abbiamo deciso che saremmo andati con una barca nel Pacifico, per scovare le flotte baleniere russe e giapponesi, bloccarle e registrare lo scontro su pellicola per inviare le immagini ai media di tutto il mondo.
Due anni e mezzo dopo, il 27 aprile 1975, siamo salpati da Vancouver con un peschereccio di 80 piedi, la Phyllis Cormack, o Greenpeace V, e nel mese di giugno ci siamo scontrati con i balenieri russi al largo delle coste della California.
Tutto quel che è successo dopo, è la storia di Greenpeace.