Dal mare al mare, da Poseidonia a Poseidone. Chiunque sappia che la città di Paestum era stata in origine intitolata dai suoi fondatori al dio del mare della mitologia greca, e che solo in età romana ha assunto il nome attuale, non può fare a meno di immaginarne la ragione. Una storia di commerci lungo la costa del Mar Tirreno, interrotta probabilmente dall’impaludarsi del territorio circostante e dalla progressiva inagibilità del porto. Fino a lasciare per secoli solo il ricordo della città antica, poi riscoperta e studiata a partire dal Settecento. Una storia di acqua, e di clima, preziosa tanto per quello che ci dice del passato, quanto per il futuro.

Greenpeace ha deciso di sostenere la mostra “Poseidonia città d’acqua. Archeologia e cambiamenti climatici”, che si apre il 4 ottobre al Museo Archeologico Nazionale di Paestum, non per una semplice passione erudita ma perché siamo profondamente convinti che il fatto di ampliare gli studi sulle relazioni tra civilizzazione umana e ambiente non possa che rappresentare un progresso anche nella prospettiva di indirizzare le soluzioni a problemi attuali, a partire dal più minaccioso: il riscaldamento globale, e i cambiamenti climatici indotti.

Le civiltà nascono, si evolvono e spesso chiudono il proprio ciclo scomparendo, o comunque trasformandosi. È una regola che si applica a gran parte delle realizzazioni umane, ed è anche la storia di Poseidonia/Paestum. Perché ciò avvenga, quali siano cause e condizioni di queste trasformazioni è materia di indagine. E la tentazione di creare una correlazione diretta tra i cambiamenti climatici e le vicende umane è sempre stata forte per storici e scienziati: «L’impero del clima è il primo di tutti gli imperi», scriveva in “Lo spirito delle leggi” Charles-Louis de Montesquieu, che si spingeva fino a ricondurre la tendenza verso il liberalismo o la tirannide alle condizioni climatiche delle regioni d’appartenenza.

Ai cambiamenti climatici sono state attribuite diverse catastrofi di portata storica. Verso il 1200 a.C., per esempio, una crisi sconvolge il mondo antico, con la decadenza degli imperi egiziano e minoico-miceneo, la misteriosa comparsa dei Dori, una recessione culturale che si estende da un capo all’altro del Mediterraneo. Una crisi climatica? Certo, è la risposta di Rhys Carpenter, un archeologo americano che alla vicenda ha dedicato un libro, “Clima e storia”: «La spiegazione è la carestia, la caduta delle provviste alimentari al di sotto del livello critico di sussistenza. E per carestia intendo non l’occasionale succedersi di parecchi cattivi raccolti, ma una distruzione prolungata e disastrosa della produzione annuale quale può essere provocata da un drastico mutamento di clima».

Che la tesi di Carpenter sia corretta o meno (recenti ricerche testimoniano lo stabilirsi – proprio attorno al 1200 a.C. – di un periodo prolungato di aridità) soffermarci su queste ricostruzioni del passato è utile alla scienza del clima. I motivi sono diversi, e tutti importanti. Innanzitutto, la storia delle precedenti oscillazioni ci aiuta a toccare con mano come la stabilità climatica non sia di questo mondo. Inoltre, la varietà delle trasformazioni già avvenute, grandi e piccole, può essere utile a ipotizzare quale direzione prenderà o meno il clima del futuro. Infine, in un contesto storico è possibile comprendere l’eccezionalità della deriva contemporanea, un riscaldamento della portata e della rapidità probabilmente mai sperimentate negli ultimi due-tre millenni.

Le conferme, purtroppo, arrivano quasi quotidianamente. Ultimo, a fine settembre, il Rapporto speciale dell’IPCC (il Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici) dedicato a oceani e aree coperte dai ghiacci. Come i tanti rapporti dedicati negli ultimi trent’anni alla scienza del clima, agli effetti dei cambiamenti climatici e alle misure per mitigarne l’impatto, anche quest’ultimo documento degli scienziati dell’ONU è basato sulla revisione delle ricerche (quasi 7.000), realizzate dai maggiori studiosi a livello mondiale.

I risultati di tale revisione sono spietati. I ghiacciai sono quasi tutti in ritirata, quelli delle regioni temperate stanno scomparendo; un esteso scioglimento del permafrost (suolo gelato presente soprattutto nelle aree artiche) è previsto già in questo secolo; l’aumento delle temperature marine rischia di uccidere il 90 per cento delle barriere coralline; l’estensione della banchisa nel Mar Artico è ai minimi storici; la calotta glaciale dell’Antartide, la più grande massa di ghiaccio del nostro pianeta, continua a ridursi; così anche in Groenlandia.

Cosa significa tutto ciò per mari e oceani è presto detto: il livello del mare potrebbe aumentare di un metro entro il 2100 se il riscaldamento globale dovesse eccedere i 3 gradi, che è l’aumento di temperatura atteso se non cambiano le attuali politiche dei governi. Sarebbe minore, ma sempre importante, nel caso di un cambiamento di rotta, che purtroppo non è ancora in vista. Ma che sia un metro oppure meno, l’aumento del livello del mare comporterà l’evacuazione dalle aree costiere di molte persone, forse milioni. E potrebbe magari riportare l’acqua a Paestum/Poseidonia, fino forse a invadere l’area archeologica, come suggerisce “Ruderi di un mondo che fu”, il quadro di Federico Cortese (di epoca romantica), che apre la mostra.

Non sappiamo se andrà così. Correttamente, nel loro contributo alla mostra, i ricercatori del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici presentano degli scenari possibili, ma non fanno previsioni: «Le scienze del clima costruiscono simulazioni basate su scenari, perché il futuro cambia a seconda delle scelte che facciamo oggi e negli anni a venire». Il fatto, però, è che ne sappiamo abbastanza per agire: la scienza, infatti, ci offre un quadro al contempo agghiacciante e convincente. E gli impatti delle emissioni di carbonio prodotte dall’uomo si stanno sviluppando su larga scala e a un ritmo molto più sostenuto rispetto a quanto ci aspettassimo. Se vogliamo che la Terra continui a essere un luogo ospitale per tutti, dobbiamo proteggere il clima.

Alluvioni, tempeste, scioglimento dei ghiacci, innalzamento dei mari, siccità, sono solo alcuni dei sintomi dei cambiamenti climatici in atto. Sono la conseguenza del riscaldamento globale, determinato dalle attività umane. Stiamo pagando un prezzo altissimo, mentre aziende senza scrupoli, come i colossi delle fonti fossili o dell’agricoltura industriale, fanno profitti a scapito del Pianeta, senza assumersi alcuna responsabilità. Come ci insegna anche la storia di Paestum/Poseidonia, non c’è civilizzazione che possa prescindere dalle condizioni ambientali e climatiche che la caratterizzano. Mentre le temperature continuano ad aumentare, c’è bisogno quindi di un’azione politica senza precedenti per evitare che il nostro Pianeta subisca conseguenze umane, ambientali ed economiche senza precedenti.