Alluvioni, siccità, incendi, ondate di calore. Sono i risultati dei cambiamenti climatici e si stanno verificando in ogni angolo del mondo. A pagarne le spese siamo noi e l’ambiente, e la responsabilità è anche di ENI. È una delle aziende italiane più inquinanti al mondo in termini di emissioni di gas serra e il maggior emettitore di CO2 in Italia. E mentre promette di investire in energie rinnovabili, continua a investire pesantemente in gas e petrolio. Chi inquina e devasta il nostro Pianeta deve pagare. Ecco perché abbiamo deciso di portare ENI in Tribunale, ecco perché questa è una Giusta Causa. Unisciti a noi!
Insieme per una Giusta Causa
In questa azione contro ENI, gli attori sono Greenpeace Italia e ReCommon insieme a privati cittadini e cittadine, tutti soggetti che direttamente o indirettamente subiscono le conseguenze dell’aggravarsi della crisi climatica a causa anche della condotta della multinazionale petrolifera italiana.
Perché ENI?
La responsabilità di ENI sulla crisi climatica è oramai conclamata. ENI infatti è responsabile a livello globale di un volume di emissioni di gas serra superiore a quello dell’intera Italia, essendo così uno dei principali artefici del cambiamento climatico in atto. ENI e le altre compagnie petrolifere sono consapevoli da oltre cinquant’anni dell’impatto che le loro attività hanno sul clima, tanto da mettere in atto strategie di lobby e di greenwashing per mascherare le proprie responsabilità.
La prima climate litigation in Italia contro ENI
Le climate litigation sono azioni legali avviate con lo scopo di imporre a governi o aziende il rispetto di determinati standard in materia di limitazione del riscaldamento globale. Gli impatti universalmente riconosciuti del cambiamento climatico interessano alcuni dei diritti individuali come i diritti alla vita, al cibo, all’acqua, ai servizi igienici e alla salute. La responsabilità di ENI sui cambiamenti climatici emerge con tutta evidenza. Le condotte che causano il cambiamento climatico, violano diritti umani tutelati e protetti sia dalla Costituzione italiana sia, attraverso quest’ultima, da norme internazionali e accordi vincolanti per gli Stati e per le aziende. La violazione di queste norme comporta la commissione di condotte illecite che trovano tutela attraverso gli articoli 2043 e seguenti del codice civile con la necessità di un intervento sia risarcitorio in forma specifica che inibitorio, dal momento che l’aumento di temperatura del pianeta, che già oggi è in aumento, lo sarà sempre di più se non verranno rispettati gli obiettivi stabiliti nella Conferenza di Parigi.
Cosa vogliamo ottenere
Tramite questa causa civile, noi di Greenpeace Italia e ReCommon, insieme a privati cittadini e cittadine, tutte persone che direttamente subiscono e temono di subire in futuro le conseguenze dell’aggravarsi della crisi climatica a causa della condotta della multinazionale petrolifera italiana, chiediamo di accertare e dichiarare che ENI SPA, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e Cassa depositi e prestiti SPA sono responsabili nei confronti dei cittadini italiani per danni alla salute, all’incolumità e alle proprietà, nonché per aver messo, e aver continuato a mettere, in pericolo gli stessi beni per effetto delle conseguenze del cambiamento climatico. Un fenomeno che queste realtà hanno contribuito a provocare a causa delle emissioni in atmosfera di gas serra, e in particolare CO2, derivanti dalle attività industriali, commerciali e dei prodotti per il trasporto di energia venduti da ENI, il tutto oltre i limiti internazionalmente riconosciuti e accettati dalla stessa compagnia. Noi di Greenpeace Italia e ReCommon, insieme a privati cittadini e cittadine in questa causa in ogni caso non chiediamo una quantificazione dei danni patrimoniali e non, ma solo un accertamento delle responsabilità dei convenuti per i danni provocati. Allo stesso tempo chiediamo la condanna di ENI a rivedere la sua strategia industriale per ridurre le emissioni di gas climalteranti del 45 per cento al 2030 rispetto ai livelli del 2020, in linea con l’Accordo di Parigi, e la condanna del Ministero dell’Economia e delle Finanze, azionista influente di Eni, ad adottare una politica climatica che guidi la sua partecipazione nella società sempre attenendosi alle disposizioni dell’Accordo di Parigi.