Nell’ultimo decennio, la spesa per le armi nei Paesi NATO della UE è cresciuta quattordici volte più del loro Pil complessivo. In Italia la spesa per i nuovi sistemi d’arma è passata da 2,5 miliardi di euro a 5,9 miliardi. Un passo verso la militarizzazione che rischia sia di destabilizzare ulteriormente l’ordine internazionale, sia di rallentare la crescita dell’economia e dell’occupazione in Europa e in Italia. È quanto denuncia il rapporto “Arming Europe”, commissionato dagli uffici nazionali di Greenpeace Italia, Germania e Spagna, che rivela il minor effetto moltiplicatore delle spese militari rispetto a quello degli investimenti su ambiente, istruzione e sanità.
Il rapporto lanciato oggi mostra che nell’ultimo decennio (2013-2023) in Europa le spese militari hanno registrato un aumento record (+46% nei Paesi NATO-UE; +26% in Italia) trainato dall’acquisto di nuove armi (+168% nei Paesi NATO-UE; +132% in Italia). Un balzo che contrasta con la stagnazione del Pil (+12% nei Paesi NATO-UE; +9% in Italia) e dell’occupazione in questi Paesi (+9% nei Paesi NATO-UE; +4% in Italia).
Nonostante le difficoltà delle finanze pubbliche italiane, la spesa militare è cresciuta con un ritmo senza precedenti anche nel nostro Paese, togliendo risorse alla spesa sociale e ambientale. Nel periodo 2013-2023, la spesa militare in Italia è aumentata del 30%. Quella per la sanità è aumentata solo dell’11%, la spesa per l’istruzione del 3% e la spesa per la protezione ambientale del 6%.
«L’ultimo decennio è stato drammaticamente segnato dall’aggravarsi della crisi climatica ed economica, da una pandemia e da nuovi conflitti, ma l’unica risposta del nostro governo è stata quella di aumentare la spesa militare», dichiara Sofia Basso, Research Campaigner “Climate for Peace” di Greenpeace Italia. «Da tempo chiediamo di fermare la corsa al riarmo e di investire più risorse nella lotta contro la povertà e la crisi climatica, a tutela della pace, delle persone e del pianeta. Questo studio dimostra che spendere nelle armi è un ‘cattivo affare’ anche per l’economia».
Greenpeace ha stimato che 1.000 milioni di euro spesi per l’acquisto di armi generano un aumento della produzione interna di soli 741 milioni di euro, mentre la stessa cifra investita per istruzione, welfare e protezione ambientale avrebbe un effetto quasi doppio. Uno scarto ancora maggiore si registra nell’impatto occupazionale: i 3.000 nuovi posti di lavoro creati dalla spesa per le armi salirebbero a quasi 14.000 se la stessa cifra fosse investita nel settore dell’educazione, a più di 12.000 se investita in sanità e a quasi 10.000 nella protezione ambientale.
Anche per questo Greenpeace chiede con una petizione rivolta al governo italiano di tagliare le spese militari, rinunciando all’obiettivo NATO del 2% del Pil, di tassare gli extra profitti delle aziende della Difesa e di usare quei fondi per la lotta alla povertà e alla crisi climatica.
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