© Greenpeace / Yejin Kim

La produzione petrolchimica per la filiera della plastica espone al rischio d’inquinamento atmosferico oltre 51 milioni di persone in 11 Paesi nel mondo: è quanto rivela l’ultimo rapporto di Greenpeace International, a pochi giorni dall’inizio dei negoziati per un Trattato globale sulla plastica, in programma a Ginevra dal 5 al 14 agosto. Il rapporto, dal titolo Every Breath You Take, si focalizza sul livello intermedio della produzione di plastica, ossia sugli impianti petrolchimici dove i combustibili fossili vengono trasformati in materie prime per il prodotto finito, situati in Thailandia, Filippine, Malesia, Indonesia, Corea del Sud, Canada, USA, Germania, Regno Unito, Svizzera e Paesi Bassi. Questi Stati sono stati selezionati e mappati da Greenpeace per l’elevato impatto ambientale legato alla produzione petrolchimica o alla gestione della plastica.

Dallo studio, nello specifico, emerge che oltre 51 milioni di persone vivono entro 10 km da impianti petrolchimici legati alla produzione di plastica, 16 milioni entro 5 km, mentre aree residenziali si trovano entro 10 km dagli impianti in tutti i Paesi considerati. Gli Stati Uniti presentano il numero più alto di persone a una distanza che comporta un rischio elevato (13 milioni), soprattutto in Texas e Louisiana. Ma in termini percentuali, sono i Paesi Bassi ad avere il numero più alto di abitanti esposti a un rischio elevato di emissioni inquinanti, comprese quelle di sostanze tossiche nell’aria, provenienti dagli impianti petrolchimici: 4,5 milioni di persone, cioè oltre un cittadino su quattro. Segue la Svizzera, con il 10,9% della popolazione.

L’inquinamento causato da alcuni impianti petrolchimici è anche transfrontaliero: diverse strutture, infatti, si trovano in zone di confine, con impatti sulle comunità che vivono in Austria, Polonia, Singapore, Belgio, Francia e Germania. In alcuni dei casi studio documentati, le comunità vicine agli impianti petrolchimici sono colpite in misura sproporzionata da cancro, malattie respiratorie e morti premature. L’ONU ha etichettato alcune di queste aree come “zone di sacrificio”. Durante la produzione delle materie prime, infatti, gli impianti petrolchimici emettono una serie di sostanze dannose nell’aria, tra cui composti organici volatili (COV), ossidi di azoto (NOₓ), ossidi di zolfo (SOₓ) e particolato (PM).

«Questo rapporto dimostra che la crisi della plastica è diventata una vera e propria emergenza sanitaria pubblica», dichiara Chiara Campione, direttora del Programma di Greenpeace Italia. «Il Trattato globale sulla plastica deve garantire un taglio di almeno il 75% della produzione di materie plastiche entro il 2040 se vogliamo ridurre le minacce crescenti per la salute umana e per il pianeta: le persone vengono avvelenate, perché le compagnie dei combustibili fossili e del settore petrolchimico possano continuare a produrre più plastica inutile. Senza un trattato che agisca sulla produzione, questa crisi non potrà che peggiorare».

Il rapporto avverte anche che l’industria pianifica di espandere la produzione globale di plastica fino al 2050: un progetto che creerebbe ulteriori zone di sacrificio, più rifiuti esportati verso i Paesi a basso reddito e più prodotti usa e getta che alimenterebbero la crisi climatica e l’inquinamento. Greenpeace chiede perciò un Trattato globale ambizioso che preveda una drastica riduzione della plastica entro i prossimi 15 anni, per proteggere la salute delle persone, il clima e l’ambiente.