Vegetables and Fruit in Germany. © Axel Kirchhof / Greenpeace
© Axel Kirchhof / Greenpeace

L’attuale sistema di produzione e consumo di cibo non sta sfamando il mondo come dovrebbe. Al contrario, ci spinge sempre più oltre i limiti planetari, alimenta le disuguaglianze, viola i diritti delle persone che lavorano nel comparto e di quelle interessate dallo sfruttamento di risorse e territori. Tanto che quasi la metà della popolazione globale non ha accesso a un cibo sano, a un ambiente pulito o a un salario dignitoso, come evidenziato recentemente anche dalla Commissione EAT-Lancet1. È l’allarme lanciato da Greenpeace che, alla vigilia della Giornata mondiale dell’Alimentazione, torna a chiedere una transizione verso modelli agroalimentari sostenibili, rivolgendo un appello anche ai rappresentanti della politica e delle istituzioni che domani si riuniranno alla FAO per il World Forum Day promosso dalle Nazioni Unite. 

A fare le spese del sistema in cui produciamo e consumiamo cibo sono le foreste, distrutte per fare posto al bestiame e a colture mangimistiche; specie vegetali minacciate da pesticidi e monocolture; gli animali negli allevamenti intensivi; l’acqua dolce, utilizzata per l’irrigazione e avvelenata anch’essa dalla zootecnia intensiva; gli oceani, inquinati dai fertilizzanti. C’è poi l’aria che respiriamo: quasi un terzo di tutti i gas serra emessi a livello globale proviene dalla sola produzione alimentare, ricorda Greenpeace, e anche se la produzione da combustibili fossili cessasse domani, le emissioni derivanti dal settore agroalimentare ci spingerebbero oltre l’obiettivo climatico del contenimento della temperatura media globale entro 1,5°C. 

Ancora, sempre da stime EAT-Lancet, la produzione del 30% del mondo causa il 70% dei danni ambientali connessi al cibo, mentre appena l’1% della popolazione mondiale vive in uno spazio considerato “sicuro e giusto”, dove i diritti delle persone e i bisogni alimentari sono soddisfatti senza superare i limiti planetari, ossia le soglie critiche di sicurezza per la vita sulla Terra. Nel mondo quasi un terzo (il 32%) delle persone che lavorano nel comparto agroalimentare percepisce meno del salario minimo. In Italia tra il 2007 e il 2022, come denunciato da Greenpeace, è andato perso il 53% dei posti di lavoro nelle aziende agricole di piccola dimensione, oltre la metà delle quali è scomparsa, schiacciata da un sistema che premia le grandi aziende, spesso a scapito dell’ambiente e della qualità del cibo.

«La scienza indica chiaramente la strada per garantire accesso al cibo sicuro: un passaggio a diete a base vegetale a partire dai Paesi più ricchi, e una transizione verso modelli agroecologici, passando per una necessaria riduzione della produzione zootecnica e da uno stop allo spreco alimentare», dichiara Simona Savini, della campagna Agricoltura di Greenpeace Italia. «La Giornata mondiale dell’Alimentazione di domani vedrà riuniti alla FAO alcuni leader di spicco del panorama politico internazionale, nonché il Papa, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il ministro degli Esteri Antonio Tajani: ci auguriamo che sia questa la visione al centro dell’agenda, e non fumose soluzioni tecnologiche abbinate a un aumento della produzione agroalimentare che, anziché sfamare la Terra, continua a esaurire risorse. Infine, – conclude Savini – non possiamo non ricordare l’utilizzo della fame come strumento di guerra da parte di Israele a Gaza, e che non si può celebrare nessuna giornata dell’alimentazione senza partire da una ferma e ufficiale condanna di una tale atrocità e violazione del diritto internazionale». 

Greenpeace, in linea con quanto previsto dalla Planetary Health Diet di EAT-Lancet, ritiene fondamentale: dimezzare la produzione zootecnica globale entro il 2050; introdurre nella dieta maggiori quantità di cereali, frutta, verdura e legumi e ridurre, al contempo, ridurre il consumo di carne e di cibi ultra processati; adottare politiche che riducano lo spreco alimentare e favoriscano la filiera corta dal campo alla tavola. L’implementazione di tutti questi elementi, secondo EAT-Lancet, porterebbe a una riduzione delle emissioni agricole del 20% entro il 2050 e fino a 5 mila miliardi in benefici per la salute e l’ambiente, evitando circa 15 milioni di morti all’anno – il 27% dei decessi a livello mondiale. Per praticare queste soluzioni Greenpeace si è fatta promotrice di una proposta di legge che indica la strada per una trasformazione in chiave sostenibile del settore zootecnico: la PdL “Oltre gli allevamenti intensivi”, depositata in Parlamento nel marzo 2024 insieme a ISDE, Lipu, Terra! e WWF. Dopo avere raccolto il sostegno di decine di parlamentari, Comuni, associazioni e comitati, la proposta di legge è però ancora in attesa di discussione alla Camera: le associazioni promotrici ne chiedono la calendarizzazione.