Factory Farming: Legal suffering in Switzerland. © Greenpeace
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Tra il 2022 e il 2023, le 45 maggiori aziende produttrici di carne e latticini al mondo hanno generato complessivamente oltre un miliardo di tonnellate di emissioni di gas serra (in CO₂ equivalenti), più di quelle dell’Arabia Saudita, secondo produttore di petrolio globale, e più emissioni di metano di quelle generate da tutti i Paesi di Unione Europea e Regno Unito nel solo 2023. Sono le nuove stime degli esperti di politica ambientale e alimentare pubblicate in un’analisi a firma di Foodrise, Friends of the Earth U.S., Greenpeace Nordic e Institute for Agriculture and Trade Policy, in vista della Conferenza delle Parti sul Clima (COP30) in programma a Belém, Brasile, dal 10 al 21 novembre. Oltre la metà delle emissioni stimate (il 51%) deriva dal metano che, secondo gli scienziati, deve essere drasticamente ridotto entro la fine del decennio per mantenere il riscaldamento globale entro 1,5°C.

L’analisi, dal titolo “Roasting the Planet: Big Meat and Dairy’s Big Emissions”, letteralmente “Arrostendo il Pianeta: le grandi emissioni dei grandi della carne e dei latticini, evidenzia come le principali aziende di carne e latticini stiano generando emissioni di gas serra comparabili a quelle di alcuni dei maggiori produttori di combustibili fossili. Soltanto i primi cinque emettitori in classifica – JBS, Marfrig, Tyson, Minerva e Cargill – hanno prodotto insieme circa 480 milioni di tonnellate di emissioni di gas serra nel 2023, superando quelle generate dai colossi petroliferi Chevron, Shell o BP. Se tutte le aziende considerate nello studio fossero un Paese, si legge nel report, rappresenterebbero la nona nazione al mondo per emissioni di gas serra.

Tra le 45 aziende della lista c’è anche un nome italiano, che si piazza al ventesimo posto, con 14,41 milioni di tonnellate di CO₂ equivalenti prodotte nel 2023, a fronte di un totale di 42,8 milioni di tonnellate di emissioni zootecniche stimate dalla FAO per il nostro Paese. È il Gruppo Cremonini – tra i più potenti e influenti attori nel settore della zootecnia in Italia – che controlla Inalca, leader per le carni bovine e conosciuta per diversi suoi brand come Montana e Manzotin. Secondo un’indagine condotta negli ultimi mesi da Greenpeace Italia in collaborazione con Fondazione Openpolis, Inalca fa anche parte – insieme a La Pellegrina, Tre Valli, Granarolo e Galbani – della top 5 delle aziende italiane con i maggiori ricavi nel campo della carne e dei latticini. Si parla di profitti miliardari, pari, per Inalca, a 1.642.716.000 euro secondo gli ultimi bilanci disponibili. 

«Mentre i leader del mondo si preparano a presenziare alla COP30, che quest’anno si tiene nel cuore dell’Amazzonia devastata dai colossi della carne, gli scienziati hanno ben chiaro che la mancata riduzione delle emissioni zootecniche ci condurrà ben oltre la soglia limite di 1,5°C di surriscaldamento globale, a un passo dalla catastrofe climatica», dichiara Simona Savini, campaigner Agricoltura di Greenpeace Italia. «Le aziende agricole che contribuiscono al ripristino della natura e delle comunità, con produzioni basate su modelli di tipo agroecologico, dovrebbero essere al centro del nostro sistema agroalimentare, non i maxi allevamenti controllati dalle multinazionali. Non è troppo tardi perché i governi smettano di ignorare l’impatto climatico della produzione industriale di carne e latticini e si impegnino in una vera transizione, implementandola nei loro piani climatici nazionali che seguiranno alla prossima Conferenza delle Parti sul Clima».

Tra i risultati chiave dello studio, emerge anche che il colosso della carne brasiliano JBS svetta su tutti gli altri, generando quasi un quarto di tutte le emissioni prodotte dalle aziende analizzate, con oltre 240 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti nel 2023. Mentre tre quarti delle emissioni di gas serra stimate provengono da sole 15 delle 45 aziende prese in esame: un dato che mette in evidenza il peso sproporzionato dei giganti della carne e dei latticini.

Per rispettare l’obiettivo climatico del contenimento della temperatura media globale entro 1,5°C stabilito dagli Accordi di Parigi, e in linea con le stime delle Nazioni Unite secondo cui le emissioni globali di metano devono diminuire del 45% entro il 2030, gli autori del report chiedono: di introdurre dati obbligatori e trasparenti sulla produzione aziendale e la rendicontazione delle emissioni; di stabilire obiettivi vincolanti per la riduzione totale delle emissioni di gas serra provenienti dall’agricoltura, inclusi obiettivi separati e specifici per la riduzione del metano; di attuare politiche che limitino la sovrapproduzione e il consumo eccessivo di carne e latticini; di sostenere una giusta transizione verso l’agroecologia, la sovranità alimentare e gli alimenti di origine vegetale, spostando i fondi pubblici dall’agricoltura industriale su larga scala.