Con il sindacato USB Vigili del Fuoco abbiamo realizzato un monitoraggio indipendente sui livelli di PFAS presenti nei loro dispositivi di protezione individuale e nel sangue di Vigili del Fuoco di diversi comandi. L’obiettivo è portare all’attenzione della politica nazionale e degli organi competenti l’esposizione dei Vigili del Fuoco a questi pericolosi inquinanti nella loro attività lavorativa attraverso le schiume antincendio e l’utilizzo di ciò che indossano ogni giorno al lavoro

I dati raccolti sono stati illustrati in una conferenza stampa lo scorso 9 giugno presso la Camera dei Deputati, con la partecipazione della dottoressa Vitalia Murgia di ISDE Medici per l’Ambiente, e della professoressa Claudia Marcolungo, docente dell’Università di Padova. Ecco cosa abbiamo trovato.

Nei dispositivi di sicurezza c’è un’alta concentrazione di PFAS

I dati relativi ai dispositivi di protezione individuale dei Vigili del Fuoco italiani confermano la presenza di un’alta concentrazione di PFAS e di Fluoro Organico, un parametro che stima la presenza di tutti PFAS (ne esistono oltre 10 mila molecole) non misurabili singolarmente.

Come già evidenziato nel 2023 dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), organo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’esposizione professionale dei Vigili del Fuoco è stata classificata come cancerogena per gli esseri umani (Gruppo 1).

I Vigili del Fuoco sono doppiamente esposti ai PFAS: non solo come cittadini entrano in contatto con queste sostanze attraverso acqua, aria, alimenti e prodotti di uso quotidiano, ma anche a livello professionale sono esposti a dei rischi, diventando doppiamente vulnerabili.

I PFAS finiscono anche nel sangue dei Vigili del Fuoco

La nostra indagine ha monitorato anche i livelli di PFAS nel sangue di 16 Vigili del Fuoco provenienti dai comandi di Catania, Padova, Verona, Alessandria, Genova e Pisa. Le analisi sono state effettuate presso l’ospedale Universitario di Aquisgrana (Aachen) in Germania.

Pur non evidenziando valori particolarmente elevati, i dati sierologici (analisi sul siero estratto dal sangue) superano la prima soglia di rischio individuata dalla National Academy of Sciences e suggeriscono l’avvio di un biomonitoraggio periodico per il personale.

Oltre al PFOA (noto cancerogeno) e al PFOS (possibile cancerogeno), desta particolare preoccupazione la presenza nel siero di uno specifico composto: l’ADV che, in base a quanto noto, viene prodotto solo nello stabilimento ex Solvay, oggi Syensqo, di Alessandria.

Water Sampling in Capannori, Tuscany. © Alessandro Bianchi / Greenpeace
© Alessandro Bianchi / Greenpeace

Il governo deve intervenire per fermare questa contaminazione

Alla luce di queste evidenze il coordinamento nazionale USB Vigili del Fuoco chiede: “La mappatura dei siti contaminati da PFAS, l’analisi delle Sedi di Servizio e di tutte le attrezzature per la presenza di questi pericolosi inquinanti, la sorveglianza sanitaria degli operatori, un piano per l’eliminazione all’esposizione lavorativa attraverso una transizione PFAS-free nelle divise, nei dispositivi di protezione individuale e nelle schiume antincendio. Questi passi non sono più rinviabili e devono condurre al riconoscimento di categoria esposta e l’inserimento dei Vigili del Fuoco nei parametri INAIL per un effettivo archivio delle malattie professionali.”

I dati che abbiamo raccolto indicano chiaramente che esiste un problema PFAS per il settore dei Vigili del fuoco, una questione che non può più essere ignorata.Non è possibile mettere in pericolo la vita di chi già rischia molto per tutelare la collettività.

Chiediamo che il governo intervenga mettendo in sicurezza il corpo italiano dei Vigili del Fuoco, nonché vietando l’uso e la produzione di PFAS su tutto il territorio nazionale.

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