Activists from Greenpeace and the Friday for Future movement protest outside the ENI headquarters in Rome.

Da qualche tempo, si ha l’impressione che in Italia si stia percorrendo un sentiero subdolo, e quindi ancor più pericoloso, per silenziare le proteste.

Noi che da anni pratichiamo proteste nonviolente, sappiamo che assumendoci le nostre responsabilità abbiamo modo di difenderle davanti a un giudice terzo. Non fuggiamo, non danneggiamo, protestiamo e chiediamo solo giustizia. In tribunale.

Tuttavia, da qualche tempo a questa parte, le proteste nonviolente in tribunale spesso non arrivano. Un primo “ostacolo” è stato quello del cosiddetto “Decreto penale di condanna”. In breve, paghi una multa, dichiarandoti colpevole, e la cosa finisce li. Facile, ma eticamente sconveniente: chi scende in piazza per protestare si sente una vittima. Perché dovrebbe dichiararsi colpevole?

Un altro espediente è quello delle “sanzioni amministrative”, ampiamente praticate per bloccare le navi delle ONG che cercano di difendere l’onore di noi cittadini della fortezza Europa, salvando in mare uomini, donne e bambine che fuggono da una realtà drammatica di cui noi “occidentali” siamo, per molti versi, corresponsabili. È dimostrato infatti il nesso tra l’aumento delle temperature (e la distruzione dei raccolti) nell’Africa sub-sahariana e i volumi delle ondate migratorie verso il bacino del Mediterraneo. Dell’aumento delle temperature non sono certo i Paesi Africani i responsabili: siamo noi, la nostra “civiltà” che ha consumato il Pianeta ubriaca di fonti energetiche fossili (carbone, petrolio e gas naturale).

Proprio per ricordare queste responsabilità, lo scorso 8 ottobre attiviste e attivisti di Fridays for Future ed Exinction Rebellion hanno osato protestare davanti alla sede dell’ENI per denunciare “la persistente politica di indifferenza della società partecipata dallo Stato davanti all’emergenza climatica”. Dopo qualche giorno, cominciano a fioccare le “multe”. Non per quello che le attiviste e gli attivisti hanno detto o fatto “contro” ENI ma… perché non avrebbero rispettato le norme di “distanziamento sociale”. Chi c’era, sostiene che nessuna delle Autorità presenti ha avuto a che ridire, a manifestazione in corso, sull’eventuale “mancato rispetto”. Sanzioni amministrative, dunque: nessuna denuncia, nessun processo.

Peccato, perché in tribunale di cose da dire ce ne sarebbero state: le stesse cose che vengono dette nelle Corti di altri Paesi. Ad esempio nelle Filippine dove, dopo la devastazione del tifone Hayan/Yolanda (novembre 2013: ufficialmente ha causato oltre 6.200 morti; quasi 10.000 secondo altre fonti), la Commissione sui Diritti Umani ha annunciato che 47 multinazionali – tra cui Eni, Shell, Italcementi, ExxonMobil, Chevron, BP, Repsol e Totalpotrebbero essere considerate legalmente ed eticamente responsabili per violazioni dei diritti umani nei confronti degli abitanti delle Filippine colpiti dagli impatti dei cambiamenti climatici. Che ovviamente non si sono fermati al 2013 (visto che abbiamo aumentato le nostre emissioni di gas serra) al punto che proprio in queste settimane le Filippine sono colpite da una serie impressionante di tempeste devastanti: Goni, Atsani, Vamco… E la situazione è fuori controllo ovunque: quest’anno, è un anno record per numero (29) di tempeste tropicali nell’Atlantico!

Che ENI (come le altre grandi major petrolifere) abbia responsabilità “storiche” su questi disastri è evidente. Che i suoi piani per il futuro non siano adeguati all’emergenza climatica, pure. Perché quindi multare queste ragazze e ragazzi, che stanno solo difendendo il loro, e il nostro, futuro?

Greenpeace conferma la sua solidarietà al movimento dei Fridays for Future e a tutti coloro che hanno deciso che non possiamo stare a guardare: è ora di agire. Non possiamo stare zitti davanti alle bugie di aziende come ENI, del nostro governo e della stessa Unione Europea che millantano soluzioni “green” che di verde hanno solo quella patina sottile che si chiama “greenwashing”.

Per questo, perché siamo tutti in pericolo, abbiamo deciso di sostenere con una donazione di millecinquecento euro il crowdfunding lanciato da Fridays for Future Roma.

E per questo invitiamo tutti, ragazze e ragazzi di tutte le età a non lasciare che anche quest’occasione vada perduta. Forse ne avremo un’altra, forse no.

Non facciamoci tappare la bocca.