«Benvenuti in Greenpeace! Venendo qui questa sera, voi state per rendere possibile un viaggio per la vita e per la pace». È così che Irving Stowe – un attivista di lunga data e uno dei fondatori di Greenpeace – accoglie gli spettatori del concerto che deve finanziare il progetto di navigare con una barca verso il Mare di Bering, per fermare in modo nonviolento un test atomico degli Stati Uniti. Siamo al Pacific Coliseum di Vancouver, in Canada, e da lì a poco si esibiranno alcuni mostri sacri della folk music americana: Joni Mitchell, James Taylor e Phil Ochs. 

È il 16 ottobre 1970: l’eco della tre giorni di “pace e amore” di Woodstock è ancora forte. Stowe non lo sapeva quella sera, ma il viaggio di Greenpeace sarebbe durato per decenni. E avrebbe cambiato il mondo. Meno di un anno più tardi, lo stesso Stowe, Jim Bohlen e Paul Cote noleggiano un vecchio peschereccio, chiamato Phyllis Cormack. Il 15 settembre del 1971, la barca salpa alla volta di Amchitka, nel Pacifico settentrionale, per impedire l’ormai imminente test. A bordo, una dozzina di persone tra le quali Robert Hunter, un giornalista che sarebbe diventata la persona più carismatica del gruppo dei fondatori.

L'equipaggio della nave Phyllis Cormack salpa alla volta di Amchitka, nel Pacifico settentrionale, per impedire un test nucleare.
L’equipaggio della Phyllis Cormack. In senso orario dall’alto a sinistra: Hunter, Moore, Cummings, Metcalfe, Birmingham, Cormack, Darnell, Simmons, Bohlen, Thurston, Fineberg.

È la scintilla iniziale, il momento in cui nasce ufficialmente Greenpeace, quello da sempre più celebrato della sua storia. Ma che non sarebbe stato possibile senza il concerto dell’anno prima, senza la raccolta dei fondi utili alla spedizione verso Amchitka. Se il primo pilastro sul quale si regge Greenpeace è rappresentato dalle sue campagne, il secondo è senz’altro costituito dalla raccolta fondi. Tuttavia, questa attività ha delle caratteristiche specifiche, differenti dalla maggior parte delle altre organizzazioni non profit: il principio dell’indipendenza, infatti, condiziona fortemente il suo modo di raccogliere finanziamenti.

Il pilastro della raccolta fondi

Greenpeace non sollecita né accetta donazioni in denaro da imprese e aziende, partiti politici, governi o istituzioni internazionali. Unica eccezione: fondazioni i cui obiettivi siano in linea quelli dell’organizzazione. Un documento di policy – definito a livello globale e valido per tutti gli uffici – regola la raccolta fondi ed eventuali relazioni di carattere finanziario. Una parte iniziale del documento, inoltre, è dedicata ai «rapporti con terzi soggetti», anche in ambiti che non prevedono finanziamenti in denaro. 

Per assicurarsi che non siano in conflitto con i principi di raccolta fondi e la sua indipendenza, infine, Greenpeace Italia effettua uno screening delle donazioni uguali o superiori a cinquemila euro. Perché tutte queste cautele? Per un motivo semplice, legato alla missione di Greenpeace: denunciare i problemi ambientali e promuovere soluzioni, modificare lo status quo per proteggere il pianeta e i suoi abitanti. Istituzioni, governi, aziende sono di solito gli obiettivi delle campagne di Greenpeace. E sono anche gli interlocutori ai quali si rivolge per cambiare politiche, leggi, limiti ambientali, tecnologie. Quale credibilità e quale forza avrebbe una organizzazione che dipendesse economicamente dagli stessi soggetti che sfida e combatte? L’unica possibilità che rimane, quindi, è di rivolgersi alle singole persone che credono nella missione di Greenpeace in difesa del pianeta e nella sua capacità di perseguirla. A maggior ragione per una organizzazione che crede nel people power, e che sul potere dei “molti” fonda la costruzione, e possibilmente la vittoria, delle proprie campagne.

Bob Hunter al timone della Phyllis Cormack insieme a Ben Metcalfe, durante il viaggio per fermare un test nucleare ad Amchitka
Bob Hunter (a sinistra) al timone della Phyllis Cormack insieme a Ben Metcalfe

Tutto ciò non è semplice. Anzi, porta ad alcune conseguenze ben precise. La prima è che al centro della raccolta fondi di Greenpeace – in Italia e nel resto del mondo – c’è il sostenitore: la forza dell’organizzazione risiede nelle persone che decidono di sostenerla economicamente (oltre a volontari e attivisti). La seconda conseguenza è nelle dimensioni dei costi sostenuti da Greenpeace per la raccolta fondi, in quanto convincere le singole persone è più oneroso rispetto ad altre possibili forme di raccolta (basti pensare alle grandi sponsorizzazioni oppure ai fondi istituzionali). 

La terza conseguenza è la grande attenzione verso le tecniche di fundraising e la continua innovazione nel settore, alimentata da un confronto serrato all’interno dell’organizzazione e con l’esterno. Non a caso, proprio nell’ambito di Greenpeace si è sviluppata una pratica di raccolta fondi che ha poi contribuito alla crescita di organizzazioni in tutto il mondo: il face to face o dialogo diretto. E non è un caso se Greenpeace è una delle organizzazioni che più ha sviluppato tecniche di raccolta fondi attraverso il web o comunque digitali. 

Dave Birmingham issa la vela di Greenpeace sulla Phyllis Cormack in viaggio verso l'isola di Amchitka per impedire un test nucleare
Dave Birmingham issa la vela di Greenpeace sulla Phyllis Cormack

L’indipendenza, la nonviolenza, il confronto creativo sono ancora oggi parte integrante della missione di Greenpeace. Tutte cose che hanno la loro origine in quel concerto del 16 ottobre 1970. E grazie alle quali, a distanza di più di cinquant’anni, Greenpeace è oggi una grande organizzazione globale, presente in quasi sessanta paesi, con circa tre milioni di sostenitori. Come alle origini, gli attivisti di Greenpeace sono la sua forza maggiore: una forza alimentata dalla raccolta fondi e dalle tante persone che dedicano tempo e lavoro a questa missione dentro Greenpeace. Anche loro sono persone ordinarie disposte a fare cose straordinarie per proteggere l’ambiente e la pace.