di Alessandro Gariglio e Alessandro Giannì

Il Decreto “Sicurezza” che il Parlamento si accinge a confermare è, allo stesso tempo, un passo in avanti verso una società basata sulla paura e una ulteriore lesione del principio della separazione dei poteri. Principio che, come dovrebbe essere noto a tutte le persone, è alla base di ogni sistema democratico che si rispetti. Gli spazi di libertà si restringono e chi ci governa tende sempre più ad abusare delle sue prerogative: per questo, Greenpeace ha deciso di aderire alla manifestazione che si terrà a Roma, il 31 maggio (ore 14, Piazza Vittorio), per protestare contro l’introduzione delle nuove misure.
Lo scorso aprile, il Governo presieduto da Giorgia Meloni ha deciso di forzare i tempi e le prerogative del Parlamento ritirando un precedente disegno di legge (di cui abbiamo già trattato) e varando un Decreto Legge (Decreto-legge n.48 del 11 aprile 2025), immediatamente esecutivo, che il Parlamento (con la spada di Damocle della fiducia) confermerà a breve. A parte pochi passaggi vergognosi che sono stati modificati, (come quelli sulla carcerazione di donne incinte e bambini, o il divieto per i cittadini stranieri di acquistare una SIM telefonica) il resto c’è tutto, e non è poco. Il Decreto “sicurezza” – seguendo percorsi purtroppo già tracciati dai governi precedenti (e non solo “di destra”) – introduce nuovi reati, inasprimenti delle pene e rafforzamento delle misure di prevenzione.
Le misure adottate sembrano voler parlare alla “pancia” di un Paese sempre più confuso e spaventato, piuttosto che seguire un pensiero coerente di sicurezza pubblica e sociale. Come ha ben scritto Vittorio Manes , “sicurezza… è una parola d’ordine – o una parola magica – al contempo ansiogena ed ansiolitica” utilizzata come “risposta pronta ed efficace ad ogni problema o irritazione sociale…”. Da un lato assistiamo alla continua spettacolarizzazione della cronaca giudiziaria che alimenta paura e insicurezza. Dall’altro, la politica (lo Stato) risponde con prontezza, temendo di perdere consenso, con una spirale securitaria. Che però di sicurezza non pare produrne molta, anzi il contrario.
È in questo contesto che prende piede una tendenza definita dagli esperti “panpenalismo d’urgenza”: tutto quel che nuoce, che devia da una norma definita (non si sa bene da chi) diventa reato e il diritto penale sostituisce sempre di più il confronto pubblico, il conflitto politico e civile, come modalità standard di intervento nei più vari settori della nostra quotidianità. Abbiamo un problema e la gente protesta? Arrestiamoli tutti. Al problema… forse, un giorno, penserà qualcun altro. Se non sarà troppo tardi.
La Costituzione assegna al Parlamento – non al Governo – il compito di trovare un equilibrio tra le esigenze di sicurezza e giustizia della collettività e il sacrificio della libertà personale. L’uso del decreto-legge, infatti, è subordinato al rispetto di condizioni precise definite dall’Articolo 77 della Costituzione “in casi straordinari di necessità e d’urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori … i decreti perdono efficacia sin dall’inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione”. Tutto questo è stato ribadito dalla recente pronuncia della Corte costituzionale (sentenza 25 luglio 2024, n. 146) in cui si è stabilito che il decreto-legge è «uno strumento eccezionale», e «la pre-esistenza di una situazione di fatto comportante la necessità e l’urgenza … costituisce un requisito di validità costituzionale», in quanto in gioco vi sono gli «equilibri fondamentali della forma di governo».
È per questo che la decisione del Governo Meloni di scippare il DDL al Parlamento e trasformarlo di Decreto-legge è preoccupante. Noi non riusciamo a vedere alcuna “pre-esistenza” ma vediamo le violazioni degli equilibri di potere: vediamo bene che il Governo assume anche il potere legislativo oltre a quello, costituzionale, esecutivo. A parte le problematiche rispetto alle norme in esso contenute, questo Decreto-legge è un vero e proprio attentato all’ordinamento democratico e costituzionale perché piega a volontà politiche dell’Esecutivo prerogative che la Costituzione riconosce solo ed esclusivamente in capo al potere Legislativo (al Parlamento).
È questa lesione al principio di separazione dei poteri – che è proprio degli ordinamenti democratici da diversi secoli – che ci preoccupa. E il fatto che da almeno un ventennio il Parlamento è sempre più ridotto al ruolo di ratificatore delle decisioni prese dal Governo (quale che esso sia) è un motivo in più, non in meno, per opporsi a questa deriva. Anche per questo, il prossimo 31 maggio saremo in piazza per difendere quelle libertà previste dalla Costituzione che non sono state un “regalo dal cielo” ma frutto di sacrifici, lotte e lutti.