Greenpeace si è immersa in questi giorni nelle acque dell’Area Marina Protetta (AMP) di Miramare, a Trieste, dove un anno fa, nell’ambito del progetto Mare Caldo, sono stati posizionati dei sensori per la misurazione della temperatura lungo la colonna d’acqua. Insieme ai ricercatori dell’AMP e dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (OGS), l’associazione ambientalista ha inoltre partecipato a un’immersione scientifica sulle Trezze al largo di Grado, dove si stanno monitorando gli effetti dei cambiamenti climatici su specie sensibili come la madrepora a cuscino e Pinna nobilis nell’ambito dei progetti Tretamara e Life Pinna.
In una conferenza stampa a bordo della nave di Greenpeace Rainbow Warrior, ormeggiata a Trieste, è stato diffuso oggi il secondo rapporto annuale del progetto. Sono state effettuate oltre 535 mila misurazioni della temperatura, raccolte insieme al Dipartimento di Scienze della Terra, dell’Ambiente e della Vita (DiSTAV) dell’Università di Genova, partner scientifico del progetto, e con il supporto tecnico di ElbaTech. I dati indicano chiaramente come i nostri mari si stiano riscaldando anche in profondità. Il rapporto del secondo anno di progetto, inoltre, evidenzia come l’aumento delle temperature stia causando drastici cambiamenti della biodiversità marina, dalla scomparsa delle specie più sensibili caratteristiche del nostro mare all’invasione di altre, spesso aliene, che meglio si adattano a un mare sempre più caldo.
Nonostante le temperature registrate durante l’estate del 2021 non abbiano evidenziato valori da record in profondità, il confronto degli andamenti con l’anno precedente ha permesso di individuare un’anomala e repentina “ondata di calore” a giugno 2020 all’Isola d’Elba e all’AMP di Portofino, con temperature che in pochi giorni e per un periodo di tre settimane hanno registrato un aumento di circa 1,5 gradi centigradi rispetto al valore medio mensile, che ha coinvolto tutta la colonna d’acqua fino a 35-40 metri di profondità. Questi shock termici, registrati anche in Spagna e Francia, nello stesso periodo, dalla rete TMedNET, sono particolarmente dannosi per gli organismi sensibili come le gorgonie, specie simbolo dell’habitat a coralligeno del Mediterraneo. Come avviene ai coralli tropicali che si “sbiancano”, anche diverse specie mediterranee mostrano evidenti segnali di necrosi con conseguente mortalità delle colonie a causa dell’aumento delle temperature.
È proprio ciò che hanno osservato i ricercatori del DiSTAV durante i monitoraggi realizzati nell’ambito del progetto Mare Caldo in cinque aree della rete. I maggiori segnali di sofferenza sono stati registrati sulle gorgonie rosse, bianche e gialle della AMP di Capo Carbonara (Sardegna). A sbiancarsi sono anche le alghe corallinacee incrostanti, particolarmente colpite da questo fenomeno nelle AMP di Torre Guaceto (Puglia) e Capo Carbonara, e il madreporario mediterraneo Cladocora caespitosa, per il quale i ricercatori hanno messo in evidenza anche una significativa riduzione delle dimensioni delle colonie dagli anni Novanta a oggi. A Miramare, anche grazie alla rete di termometri installati per il progetto, nell’agosto 2021 è stato possibile evidenziare la relazione tra una moria di spugne nere dovute alla presenza di solfobatteri e un’ondata di calore in mare.
L’aumento delle temperature porta alla scomparsa di alcune specie mentre altre, dette termofile, proliferano espandendo il loro areale di distribuzione. È il caso del vermocane (Hermodice carunculata)che è aumentato in modo considerevole nelle AMP più meridionali, o di alcune specie aliene, come il mollusco gasteropode di origine polinesiana Lamprohaminoea ovalis, osservato per la prima volta all’isola d’Elba durante i monitoraggi del progetto, segnalazione più settentrionale nel Mediterraneo per questa specie.
“Siamo orgogliosi di questo progetto che è stato capace di far lavorare assieme vari soggetti su una problematica urgente e attuale. Il valore scientifico del progetto è enorme: solo tramite l’adozione di protocolli comuni, la condivisione e il confronto dei dati è possibile valutare gli impatti dei cambiamenti climatici ad ampia scala sui nostri mari e promuovere politiche di conservazione e gestione. Abbiamo inoltre la disponibilità di dati storici raccolti dall’Università di Genova che ci permettono il confronto dei dati negli ultimi trent’anni, da cui emerge un drastico cambiamento negli ecosistemi marini. Sarà quindi fondamentale continuare la raccolta dei dati per comprendere la dinamica di tali cambiamenti nel tempo”, dichiara Monica Montefalcone, responsabile scientifico del progetto Mare Caldo per il DiSTAV dell’Università di Genova.
Il progetto Mare caldo è iniziato a fine 2019 con una stazione pilota per la misurazione delle temperature fino a 40 metri di profondità installata da Greenpeace nel mare dell’Isola d’Elba. Dopo l’adesione nel 2020 di quattro AMP (Portofino in Liguria, Plemmirio in Sicilia, Capo Carbonara e Tavolara-Punta Coda Cavallo in Sardegna), nel 2021 si sono aggiunte l’AMP di Torre Guaceto in Puglia, Miramare in Friuli Venezia Giulia, Isola dell’Asinara in Sardegna e Isole di Ventotene e Santo Stefano nel Lazio. Oggi con l’adesione dell’AMP delle Cinque Terre e dell’AMP delle Isole Tremiti sono ben dieci le Aree Marine Protette che hanno deciso di aderire alla rete e di lavorare insieme a Greenpeace.
“Il monitoraggio e il controllo del cambiamento della biodiversità in funzione del riscaldamento globale nelle Aree Marine Protette – commenta il direttore dell’AMP di Miramare Maurizio Spoto – è molto importante perché queste aree svolgono una funzione di “cuscinetto” mitigando diversi impatti del cambiamento climatico: l’acidificazione degli oceani, l’innalzamento del livello del mare, la maggiore intensità delle tempeste, le migrazioni delle specie animali e la riduzione della produttività e disponibilità di ossigeno”.
L’OGS, impegnato da sempre nello studio degli effetti dei cambiamenti climatici sull’ambiente marino, ha posizionato la boa oceanografica Mambo proprio in prossimità dell’AMP di Miramare. E a Miramare è localizzato anche il punto di osservazione della biodiversità planctonica (stazione C1) a cui fa riferimento la più lunga serie di dati del mare Adriatico, come racconta la direttrice generale dell’OGS Paola Del Negro.
“Il progetto Mare Caldo sta mettendo in evidenza come anche i nostri mari stiano soffrendo l’impatto dei cambiamenti climatici. Per affrontare questa crisi oggi più che mai è necessario da un lato liberarci dalla nostra dipendenza dai combustibili fossili e dall’altro tutelare gli ecosistemi marini più sensibili. Si è visto che laddove proteggiamo la biodiversità dall’impatto di attività umane distruttive gli organismi sono in grado di riprendersi e adattarsi a un cambiamento che purtroppo è già in atto”, conclude Alessandro Giannì, direttore delle campagne di Greenpeace.