© Greenpeace / Francesco Alesi

È stato notificato negli scorsi giorni da parte di ENI l’atto di citazione per presunta diffamazione che l’azienda del gas e del petrolio aveva prospettato in due occasioni, avviando nei mesi scorsi degli iter di mediazione, nei confronti di Greenpeace Italia e ReCommon. ENI ha citato in giudizio le due organizzazioni perché, a suo dire, avrebbero messo in piedi “una campagna d’odio” nei confronti dell’azienda. Le due organizzazioni stigmatizzano l’attacco giudiziario di ENI come un tentativo per spostare l’attenzione dalla Giusta Causa da loro intentata contro l’azienda nel maggio 2023 ed ora pendente davanti alle Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione. 

Mentre gli eventi climatici estremi diventano sempre più violenti e frequenti, in Italia assistiamo dunque a un paradosso: lottare contro la crisi climatica sta diventando sempre più pericoloso per chiunque – comunità scientifica, associazioni ambientaliste e singoli cittadini – provi a mettere in luce le responsabilità dell’industria dei combustibili fossili. Gli spazi democratici per questo genere di denunce si restringono sempre più: dai decreti governativi contro le proteste nonviolente, alle censure mediatiche nei confronti di scienziati o esponenti della società civile. A questo si sommano le cause intimidatorie promosse dalle compagnie dell’oil&gas, con ENI in prima linea: una delle tattiche legali più comuni utilizzate dalle aziende fossili per silenziare ogni critica verso il loro operato che contribuisce gravemente al degrado ambientale  e alla crisi climatica.

«Le aziende fossili come ENI, cercando di zittire ogni voce che si leva in difesa del clima, non solo aggravano la crisi ambientale, ma minacciano alcuni pilastri fondamentali per la nostra società: la libertà di espressione e il diritto a un ambiente integro e vivibile», dichiarano Greenpeace Italia e ReCommon. «Nonostante questi tentativi intimidatori, la nostra determinazione nel difendere il pianeta resta incrollabile. Non ci fermeranno, continueremo a smascherare verità scomode per le aziende come ENI, informando e mobilitando la cittadinanza su ciò che loro cercano di nascondere», concludono le organizzazioni.  

Cause analoghe a quelle che ENI sta muovendo contro Greenpeace Italia e ReCommon vengono denominate SLAPP (Strategic Lawsuit Against Public Participation, o cause strategiche contro la pubblica partecipazione). Si tratta di cause civili – conosciute anche come querele temerarie – che sebbene siano spesso basate su accuse infondate, sono intentate da grandi gruppi di potere per disincentivare la protesta pubblica, sottraendo tempo o risorse economiche alle parti chiamate in causa, impedendogli di continuare la loro azione di denuncia perché costrette a difendersi da accuse strumentali. In altre parole, si tratta di uno stratagemma ormai ben collaudato per soffocare sul nascere ogni critica e ogni forma di protesta, ma che Greenpeace e ReCommon conoscono bene e che non fermerà la richiesta di abbandonare il gas e il petrolio, per dare un reale contributo alla transizione energetica di cui il nostro Paese e l’intero pianeta hanno urgente bisogno.

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