
Ieri pomeriggio, a Montagna in Valtellina (SO), un gruppo di attiviste e attivisti di Greenpeace Italia è entrato in azione davanti alla sede di Rigamonti, marchio celebre soprattutto per la produzione della bresaola della Valtellina IGP, di proprietà al 100% del colosso brasiliano della carne JBS. Gli attivisti hanno esposto uno striscione con la scritta “Ogni fetta una ferita alle foreste” e alcuni banner con messaggi in italiano e in inglese, tra cui “Carne che divora le foreste” e “JBS profits, forests burn” (“JBS trae profitto, le foreste bruciano”).
L’azione condotta in Italia contro il gigante mondiale della carne è stata accompagnata da altre proteste contro JBS, le sue filiali e i suoi prodotti, avvenute in contemporanea anche in Lussemburgo, Paesi Bassi, Svezia e Brasile. Nel Paese sudamericano gli attivisti di Greenpeace Brasile sono entrati in azione durante l’assemblea annuale degli azionisti della multinazionale JBS per protestare contro il ruolo dell’azienda nella distruzione dell’ambiente e nel collasso climatico. Un dossier dal titolo “JBS: Cooking the Planet”, che documenta la lunga storia di promesse non mantenute di JBS e le accuse di abusi ambientali e di violazione dei diritti umani e corruzione politica da parte dell’azienda, è stato pubblicato ieri da Greenpeace Brasile.
«JBS e la sua fame di profitto a ogni costo rappresentano tutto ciò che non va nell’agricoltura industriale. La sua filiera continua ad alimentare la deforestazione in ecosistemi vitali come l’Amazzonia, e le sue colossali emissioni – in particolare di metano – rivaleggiano persino con quelle di alcune compagnie di combustibili fossili», dichiara Martina Borghi, campaigner Foreste di Greenpeace Italia. «L’impero della carne di JBS e delle sue filiali nel mondo è stato costruito sulla corruzione, sulle promesse non mantenute e sulla distruzione dell’ambiente. Non dovrebbe essere ricompensato con una quotazione alla Borsa di New York e una delocalizzazione nei Paesi Bassi, che riempiranno le tasche dei suoi capi miliardari e finanzieranno un’espansione globale, contribuendo a far precipitare il pianeta nel caos climatico. Per aziende come JBS non c’è posto sui mercati pubblici».
A San Paolo, intanto, gli attivisti sono stati allontanati con la forza dalla sede di JBS, dopo avere interrotto una presentazione agli azionisti, scandendo slogan ed esponendo striscioni con le scritte in portoghese “#RispettateL’Amazzonia” e “JBS: il tuo profitto, la nostra estinzione”. Altri dieci attivisti hanno protestato all’ingresso del complesso JBS, e alcuni di loro si sono ammanettati alle ringhiere. Altri ancora hanno esposto un grande striscione con la scritta “JBS profits, forests burn” (“JBS trae profitto, le foreste bruciano”): un riferimento sia ai legami dell’azienda con la deforestazione in Amazzonia, sia al contributo spropositato dell’agricoltura industriale al cambiamento climatico. Un gigantesco striscione di 1.200 metri quadrati con lo stesso messaggio è stato installato dai climber di Greenpeace Brasile sul tetto di un edificio JBS adiacente. Due degli attivisti hanno inoltre impersonato i fratelli miliardari a capo di JBS, Joesley e Wesley Batista, il cui coinvolgimento in una serie di scandali di corruzione di alto profilo è ben noto.
«Chiediamo che la quotazione di JBS venga bloccata e che l’autorità di regolamentazione olandese – il Bureau Financieel Toezicht – intervenga. Abbiamo urgentemente bisogno che i governi chiedano conto all’agricoltura industriale dei danni che sta causando in tutto il mondo, per fermare questo colosso della carne bovina», conclude Borghi.
Le proteste arrivano pochi giorni dopo che la Securities and Exchange Commission statunitense ha dato il via libera alla richiesta della JBS di quotare le sue azioni alla Borsa di New York. La quotazione è abbinata a una ristrutturazione che trasferisce la società madre della JBS dal Brasile ai Paesi Bassi e che aumenterebbe anche il controllo dei voti dei miliardari fratelli Batista dal 48% a quasi l’85%, limitando la capacità degli azionisti di minoranza di influenzare l’azienda su questioni ambientali o di diritti umani. All’inizio di aprile è stato reso noto che una donazione di 5 milioni di dollari da parte di Pilgrim’s Pride, un’azienda di pollame di proprietà della JBS, è stata la più cospicua elargizione al fondo per l’insediamento del presidente degli Stati Uniti Donald Trump.